«É gravissimo. Senza motivo si è dato un allarme sulla base di uno studio che non c’è. Sarà pronto solo nella seconda metà del 2016. Si ingenera l’allarmismo su carni e insaccati indiscriminatamente. Ma che nel nostro Paese sono sottoposti a un sistema di vigilanza severissimo, in altri no». Protesta ad alta voce il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, contro il merito e il metodo di quello studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, anticipato dalla rivista The Lancet Oncology, sui potenziali rischi cancerogeni delle carni rosse e lavorate.
Rischi «molto bassi» secondo gli oncologi. E legati soprattutto ai conservanti (che non ci sono nei nostri insaccati di qualità) e alla quantità di carne consumata. Una protesta respinta al mittente dall’Oms. «Lo studio non è completo ma le conclusioni saranno le stesse», controreplica Kurt Straif, capo Dipartimento degli studi dello Iarc (L’Agenzia di ricerche sul cancro). E aggiunge: «L’annuncio non è allarmistico. La comunicazione è stata esplicita: sebbene siano stati identificati dei rischi, la loro grandezza non è paragonabile a quella del fumo. Le nuove valutazioni rinforzano le raccomandazioni già esistenti».
Poi, in serata, la frenata da Bruxelles: «L’ultimo rapporto dell’Iarc non chiede alle persone lo stop al consumo di carni lavorate, ma indica che ridurne il consumo può ridurre anche il rischio del cancro al colon». Infine l’annuncio: nei primi mesi del prossimo anno, un gruppo di esperti che regolarmente valuta il rapporto tra dieta e malattie, valuterà anche questi risultati sulle carni.
Ma il caso resta. L’annuncio ha causato il panico nei consumatori, ingenerando il sospetto che mangiare bistecche e salsicce sia «pericoloso». «Non è così — si infervora il ministro Lorenzin —. Un conto è dire che mangiare troppa carne, o bruciacchiata sulla brace può aumentare i rischi, un conto è dire che consumare le carni rosse è pericoloso. Noi abbiamo la tracciabilità dei prodotti, il divieto di somministrare antibiotici. Altri Paesi no».
Ecco il punto. Ma di chi parla lo studio dell’Oms? Possibile vedere sullo stesso banco di accusa un nostro salame doc e un hot dog da fast food statunitense? Kurt Straif assicura che «le analisi provengono da molti Paesi in tutti i continenti (eccetto l’Africa), inclusa l’Italia». Ma ammette che, comunque, «i dati disponibili non permettono di concludere se i rischi siano differenti per diversi tipi di carne rossa o processata, o riguardo alla qualità o al metodo di produzione».
E si ritorna al punto di partenza. All’indignazione della Lorenzin. «Quando si formulano questi giudizi non si può non fornire lo studio. Io ho fatto chiamare subito per avere accesso alla ricerca. Ma mi è stato risposto per iscritto che non ci sarà fino all’anno prossimo. Quindi ci si deve solo basare su quello che scrive una rivista scientifica, per carità con il massimo rispetto, però io ho bisogno di verificare se davvero si parla dei nostri prodotti che hanno certificazioni e controlli». Non ci sta, il ministro della Salute, e lancia un appello agli italiani: «Affidiamoci alla Dieta Mediterranea».
Confermano gli esperti. Pierluigi Lollini, oncologo molecolare dell’Università di Bologna, spiega: «Negli insaccati italiani di alta qualità il conservante è il sale che non è cancerogeno. Altro è usare i nitriti e i nitrati, che vengono usati in altri Paesi, come gli Stati Uniti dove sono permessi anche gli antibiotici. É un problema sentito anche lì, per questo sta andando di moda la carne di bufalo, ritenuta più sana della tradizionale carne bovina. Tuttavia bisogna precisare che il rischio è legato per lo più alla cottura alla brace, che produce idrocarburi, o al consumo troppo frequente. Meglio abbondare con pasta o pizza e pesce azzurro».
Ma un paio di volte a settimana la carne rossa non comporta alcun rischio. E comunque, scandisce il professor Lollini: «Si tratta di un pericolo debolissimo. Rispetto al fumo o all’alcol c’è la stessa differenza che corre tra una bicicletta e una Ferrari».
Virginia Piccolillo – Il Corriere della Sera – 30 ottobre 2015