di Roberto Turno. «I gruppi di lavoro per la spending review partono subito per tutti. Vorrei che il Patto accompagnasse il lavoro del Commissario». «Sarebbe un grande successo se risparmiassimo 15 miliardi in cinque anni, ma ci metterei la firma se arrivassimo a 10 miliardi. Da reinvestire in sanità». Il giorno dopo il faccia a faccia con Carlo Cottarelli, Beatrice Lorenzin rilancia: «La nostra spending review è il Patto per la salute». Dagli ospedali alle gare per gli acquisti di beni e servizi, dai costi standard all’e-health, dai Lea ai farmaci alle cure appropriate. Passando per la lotta agli sprechi e all’evasione dai ticket. Ma, mette in chiaro, «le regioni non possono tirarsi indietro, ne va della sostenibilità del Ssn». E ancora: non è più tempo di tagli lineari, dobbiamo rifare i Lea e investire in ricerca.
Ministro Lorenzin, mercoledì ha incontrato il commissario per la spending facendosi precedere da una dichiarazione: “lotterò per evitare tagli”. Com’è andata?
Per la verità avevo fatto una battuta: vi pare che ho lottato col ministero dell’Economia per spiegare l’inutilità dei tagli e ora mi tiro indietro con il Commissario? Con Cottarelli abbiamo parlato di cosa è avvenuto in Italia in sanità dal 1978 a oggi. E anche lui ha concordato con quello che dicono le cifre sulla spesa anche in rapporto agli altri Paesi. È stato un colloquio collaborativo, Cottarelli ha un lavoro difficile da fare, ma di grande importanza per i cittadini e l’Italia.
Intanto però la spending parte.
Cottarelli ha detto che vuole fare una commissione presieduta da persone del settore. Io gli ho proposto anche una questione di metodo: spiegare ai cittadini che si chiede un sacrificio per ottenere un risultato. Quindi si taglia la spesa improduttiva per ridurre in modo incisivo le tasse. In sanità i tagli lineari sono calati nel tempo in modo orizzontale. Ora, dopo la cura dimagrante degli ultimi anni (22 miliardi) non servono più. Adesso è necessaria la riorganizzazione e la riqualificazione della spesa e l’attuazione di misure che giacciono inapplicate.
Come dire, la vera spending sarà il «Patto» per la salute.
Certo: sarà il «Patto» la vera spending. Ma a una condizione: tutto ciò che verrà risparmiato va reinvestito nel sistema salute.
E nelle tasse e per il lavoro, come dice Letta…
Sarà una valutazione che faremo dopo, considerato che la legge di stabilità ci ha garantito una base certa su cui fare programmazione e applicare le riforme già in atto. Nel «Patto» stiamo lavorando a un’idea di spending all’inglese, per rendere sostenibile il Ssn nei prossimi anni, ammodernarlo per reggere la sfida della longevità e della competizione con gli altri Stati aperta dalla direttiva sulle cure transfrontaliere. Serve da parte di tutti, a cominciare dalle regioni, un salto di visione.
Per reinvestire dove e come questi risparmi?
Se ad esempio riusciamo a risparmiare un 20% con le gare centralizzate sugli acquisti di beni e servizi, dobbiamo capire dove reinvestiamo quei risparmi. Si può puntare sulla ricerca scientifica, per accrescere il capitale di know-how che crea valore economico. O nelle infrastrutture tecnologiche e sanitarie. O ancora per permettere la deospedalizzazione, che fa risparmiare. Per migliorare la qualità della spesa e investire su ciò che davvero serve, mano a mano che risparmiamo, dobbiamo investire le risorse nei settori che ci interessa valorizzare e “spingere”.
Quando partiranno i gruppi di lavoro della spending?
Partono subito per tutti. Vorrei che il «Patto» anticipasse e accompagnasse il lavoro del Commissario. Spero sia anche uno sprone per le Regioni a comprendere che è necessario dare risposte politiche e amministrative. I cittadini-pazienti non possono capire lentezze e ritardi che si traducono in sprechi e disservizi.
Ministro, giorni fa ha parlato di 30 miliardi di risparmi da realizzare in cinque anni. Sembrano francamente troppi: non è che farà ingolosire Saccomanni?
Ma no: quello era un ragionamento di massima, una buona provocazione per tutti noi. È una cifra a cui si arriva sommando alcune elaborazioni dei maggiori istituti italiani sulle singole voci di spesa.
E come si arrivava a 30 miliardi?
La Corte dei conti, ad esempio, ha stimato in 3-4 miliardi il risparmio dai costi standard a regime; l’e-health realizzato porterebbe 7 miliardi di risparmi diretti e altri 7 indiretti; 5 miliardi con l’appropriatezza dei ricoveri e le cure sul territorio secondo la nostre stime. E ancora, il 20% della spesa in prescrizioni diagnostiche si potrebbe abbassare solo risolvendo il problema della medicina difensiva. Per non dire del contrasto all’evasione dai ticket e agli sprechi. Poi le cure a domicilio, i Lea aggiornati, i farmaci, i dispositivi medici, gli stili di vita: pensi che solo il diabete alimentare impatterebbero con un risparmio di 3 miliardi in farmaci. Ecco come si arriverebbe a 30 miliardi. È evidente che sono studi disaggregati e che richiedono a loro volta investimenti. Sono proiezioni di una riforma complessiva che riguarda prevenzione, programmazione, esiti. Il tutto fatto con trasparenza.
Quanto allora si potrebbe risparmiare con la sua spending?
Sarebbe un grande successo se fosse meno della metà, 15 miliardi in cinque anni. Ma ci metterei la firma se arrivassimo a 10 miliardi. Si programma adesso e si spalma in cinque-sei anni. Fatto un programma, i risparmi non arrivano tutti e subito. È un lavoro che non si può fare dall’alto, ma mettendosi all’opera con le maniche tirate su insieme alle Regioni, con obiettivi condivisi, anche per decidere dove reinvestire. Per dire: dobbiamo rifare i Lea, investire in ricerca, sbloccare il turn over, ammodernare gli ospedali. No, il lavoro non mancherà davvero. Ma è l’unica via possibile per la sanità pubblica.
Il Sole 24 Ore – 22 novembre 2013