Michele Bocci, da Repubblica. Il sistema dei ticket va rivisto e nel Patto della salute c’è anche un progetto per farlo, «però va concertato con tutta la riforma fiscale». Tra l’altro di quella tassa, se si facesse una seria revisione della spesa, si potrebbe pure fare a meno. Riguardo ai commissariamenti delle Regioni, così come sono non funzionano. La ministra alla sanità Beatrice Lorenzin commenta le grandi differenze tra Regioni nella spesa media pro capite per la cosiddetta compartecipazione dei cittadini per visite ed esami. Ci sono realtà, come Sicilia e Campania, dove i pazienti sborsano in media meno di 10 euro a testa ogni anno, ed altre, come Veneto, Toscana, Emilia, dove il dato supera i 35 euro.
Perché queste differenze?
«Tra le Regioni ci sono dislivelli retributivi e fiscali. Purtroppo abbiamo più poveri, e quindi più esenti, ma anche sacche di evasione fiscale. È uno dei lati più odiosi dell’evasione, perché fa saltare il carattere solidaristico della compartecipazione alla spesa sanitaria».
Come si affrontano le diversità?
«All’articolo 8 del Patto della salute avevamo preso l’impegno, con le Regioni, di rivedere il ticket alla luce dei cambiamenti demografici e delle nuove difficoltà in cui si trovano molte persone che hanno perso il lavoro o sono in una famiglia numerosa. Quella parte è rimasta inapplicata, perché ancorata anche alla riforma fiscale, e sarà un tema su cui impegnarci quest’anno. Poi possiamo fare di più su un altro fronte».
Quale?
«Deve esserci una maggiore uniformità nell’applicazione dei sistemi di monitoraggio. Cioè dei controlli sul pagamento del ticket e in generale sulla spesa delle Regioni».
Ma visto che non tutti li pagano e non fanno incassare poi tanto, i ticket non si potrebbero abolire?
«Oggi rendono 3 miliardi di euro l’anno, che rispetto ai 113 del fondo sanitario in effetti sono marginali. Ma per alcuni territori sono importanti. Certo, portando avanti il processo di spending review del Patto della salute si potrebbero togliere, o comunque reinvestire nelle prestazioni più solidali. Penso agli anziani o a quelle fasce di popolazione che rischiano di non essere intercettate dal sistema sanitario pubblico, agli invisibili».
La spesa per i ticket, come quella per l’intramoenia, in Italia è scesa del 9% tra il 2012 e il 2015. Come mai?
«I motivi sono diversi da territorio a territorio. Probabilmente tra le cause c’è anche un aumento dell’efficienza, nel senso che è stata ridotta l’inappropriatezza. Si è fatto un grosso lavoro con medici e società scientifiche che sono molto impegnate su questo fronte, come dimostra il dato sull’intramoenia».
Cosa pensa delle differenze che ci sono tra Regione e Regione nelle tariffe dei ticket?
«Bisognerebbe arrivare a prezzi simili, e più equi. Lo dico sapendo che si tratta di uno strumento sul quale c’è l’autonomia regionale. Paradossalmente, nelle aree dove c’è maggiore sofferenza economica i costi per i cittadini sono più alti».
Oltre ai ticket, in certe realtà per la sanità si pagano anche super aliquote Irpef.
«Le Regioni che raggiungono il pareggio in bilancio dovrebbero toglierle oppure investirle nel sistema sanitario».
Il presidente del Veneto Zaia ha attaccato la norma che ha permesso ai governatori delle Regioni con la sanità in rosso di fare i commissari. Lei cosa ne pensa?
«La legge nasce da un emendamento parlamentare a cui io ho dato parere contrario. Non ha senso che il controllore e il controllato coincidano. Penso però che il sistema dei commissariamenti vada aggiornato. I sub commissari di governo hanno potuto agire solo su aspetti economici e finanziari e non sui servizi sanitari. E infatti le realtà commissariate continuano a fare fatica nei servizi ai cittadini. Bisogna cambiare. Sarebbe meglio non commissariare i vertici politico amministrativi che si devono assumere la responsabilità piena della visione sanitaria, e del resto hanno sempre mantenuto il potere di nomina dei manager delle Asl, ma le aziende sanitarie e ospedaliere. In quelle che non funzionano potrebbe arrivare un commissario di governo con pieni poteri rispetto alle Regioni, con l’obbligo di risanamento nel giro di uno o due anni. È un’idea in bozza da condividere e sulla quale invito tutti a ragionare».
Repubblica – 13 marzo 2017