Se non ci sarà un’inversione di tendenza, fra qualche anno anche infezioni oggi banali potrebbero diventare fatali. Secondo il «Rapporto sui rischi globali 2013» del World Economic Forum, la più grande minaccia per la salute dell’umanità nei prossimi dieci anni potrebbe essere l’emergenza di ceppi batterici resistenti ai farmaci.
Ma già ora il fenomeno ha notevoli costi umani (25mila morti l’anno in Europa) ed economici (1 miliardo e mezzo di euro l’anno di spesa sanitaria aggiuntiva stimata per i Paesi dell’Unione), per cui tutte le autorità sanitarie internazionali sono mobilitate per porvi il più possibile rimedio. In caso contrario, rischiamo di chiudere l’era antibiotica come una felice parentesi della storia nella quale i medici hanno avuto, per meno di un secolo, strumenti efficaci per combattere le infezioni batteriche. «Entrare in un’era post antibiotica significa, di fatto, porre fine alla medicina moderna così come la conosciamo – ha dichiarato Margaret Chan, direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità -. Condizioni comuni come una faringite da streptococco o la sbucciatura del ginocchio di un bambino potrebbero tornare a uccidere». «Non solo – aggiunge Gianmaria Rossolini, docente di microbiologia clinica alle Università di Firenze e Siena -. Molte pratiche mediche, e soprattutto la maggior parte degli interventi chirurgici, non potrebbero più essere affrontati con la stessa tranquillità, per il rischio di infezioni che porterebbero con sé».
RITORNO AL PASSATO – In questo guaio ci siamo messi da soli, abusando per decenni di quei farmaci considerati, secondo un’inchiesta svolta tra i lettori del British Medical Journal qualche anno fa, l’innovazione più importante in medicina dopo l’anestesia. Si stima che, insieme ai vaccini, la scoperta degli antibiotici abbia contribuito ad aumentare di ben 20 anni la nostra vita media. Il rischio, adesso, è di tornare indietro, a causa del consumo eccessivo e inappropriato che se ne è fatto in questi decenni: solo negli Stati Uniti, nel 2009, se ne sono somministrati ai pazienti 3mila tonnellate e l’anno successivo, ai soli animali, 13mila. In Europa, l’Italia, insieme con il Portogallo, tallona la Grecia per eccessivo consumo: ogni giorno, su 1.000 abitanti, più di 20 sono in trattamento. Non si tratta solo di spreco: l’uso di un antibiotico, eliminando tutti i batteri suscettibili, inevitabilmente lascia campo libero a quelli resistenti, per i quali si dovrà trovare un nuovo rimedio. Ecco perché è fondamentale il richiamo a un “uso responsabile” degli antibiotici.
CONVINZIONI ERRATE – Ma che cosa significa esattamente questa espressione? A parole gli italiani sono abbastanza consapevoli del problema, ma nei fatti poi non si comportano di conseguenza. Sulla base delle risposte fornite nel corso dell’inchiesta Eurobarometer condotta dalla Commissione europea nel maggio scorso, infatti, in linea con il resto dei cittadini dell’Unione, quasi il 70 per cento degli intervistati sa bene che l’abuso di antibiotici li rende inefficaci e che questi medicinali possono provocare effetti collaterali come la diarrea, ma il 36 per cento di loro dichiara di averli presi almeno una volta nell’anno precedente. Dopo anni e anni di campagne di informazione e sensibilizzazione è sconfortante constatare che, pur in leggero miglioramento rispetto all’anno passato, ancora oggi, più della metà del campione intervistato in Italia (il 58%) è erroneamente convinto che gli antibiotici siano in grado di uccidere i virus e quattro su 10 li ritengano utili contro raffreddore e influenza. Anche molte persone ben informate, e perfino molti medici, cadono nella trappola della “copertura antibiotica”, un’espressione con cui si giustifica l’uso di medicinali in molti casi in cui non sono indicati, per esempio l’influenza, appunto, solo al fine di prevenire eventuali complicazioni.
LA PROFILASSI – Rispetto al resto d’Europa, gli ospedali italiani sono quelli nei quali più spesso la ragione per somministrare antibiotici è la “copertura” di condizioni mediche di diverso tipo. Si giustifica così il 23,8 per cento delle prescrizioni. E questo spiega in parte il fatto che quasi la metà delle persone ricoverate in ospedali per acuti in Italia sia “sotto antibiotici”. Non parliamo poi della cosiddetta “profilassi chirurgica”, la protezione dalle infezioni che si fa per ogni piccolo intervento, in ospedale o dal dentista. «A questo scopo basterebbe una dose poche ore prima dell’operazione ed eventualmente una seconda subito dopo» sostiene Franco Scaglione, docente di Farmacologia all’Università degli studi di Milano, mentre nell’ultimo rapporto del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie risulta che nel nostro Paese il più delle volte il trattamento profilattico si prolunga inutilmente per più di un giorno.
OTITI NEI BAMBINI – Le cose cambiano quando il farmaco si prende per curare un’infezione, non per prevenirla: spesso si insiste per avere l’antibiotico, poi lo si interrompe al primo segno di miglioramento. «Invece bisogna prenderlo per il tempo necessario a estirpare l’infezione – ma non più a lungo, per evitare di favorire la comparsa di resistenze – e sempre a dosi piene, senza mai ridurle quando si comincia a stare meglio» raccomanda il farmacologo. Ci sono molte condizioni per cui si pensa subito, sbagliando, alla necessità di un antibiotico: la bronchite in una persona che non soffre di bronchite cronica, per esempio. Ma soprattutto la febbre, che mette in allarme, oppure la tosse o il mal d’orecchio, sintomi che di per sé non sono segnali di un’infezione batterica. «Sopra i due anni di età, anche l’otite, se non è ricorrente o non presenta pus o complicazioni, guarisce per lo più spontaneamente – interviene Susanna Esposito, direttore della prima Clinica pediatrica dell’Ospedale Policlinico di Milano e presidente della Società italiana di infettivologia pediatrica -. Nei bambini gli episodi infettivi sono più frequenti che negli adulti, ma nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di condizioni lievi e su base virale, che passano da sole. Ci vuole solo un po’ di pazienza».
IMPOTENTI CONTRO I VIRUS – Molti pensano che l’antibiotico sia un cura “più forte”, capace di accelerare i tempi di guarigione, ma se l’infezione è virale, il farmaco non serve né a risolverla né ad abbreviarne la durata. Oltre che inutile, poi, è controproducente, perché l’antibiotico non può nulla contro il virus, compromette la flora batterica “buona” e seleziona pericolosi ceppi resistenti. Inoltre può provocare effetti collaterali, come la diarrea, che si può curare con i probiotici. «Questi prodotti invece non sono indicati a scopo preventivo, a meno di trattamenti molto prolungati, come per le infezioni che colpiscono le ossa o il cuore» dice la pediatra milanese. Che aggiunge: «E comunque, anche quando l’antibiotico è indicato, per esempio nelle rinosinusiti mucopurulente che durano da più di una settimana, questo non basta, se non si aiuta la rimozione del materiale infetto con accurati lavaggi delle cavità nasali».
CONFLITTI D’INTERESSE
Gli intervistati hanno dichiarato i seguenti conflitti d’interesse. Francesco Scaglione negli ultimi due anni ha avuto finanziamenti per ricerca e grant per partecipazione a convegni da Astellas, Sanofi, Pfizer, MSD, Angelini, Alcon e AstraZeneca. Giovanni Gesu dichiara di aver ricevuto a titolo personale negli ultimi tre anni gettoni in qualità di relatore o moderatore da Pfizer, Astellas, AstraZeneca, Gilead, MerckSharp & Dohme, Siemens e Becton Dickinson (diagnostici). Riceve inoltre un gettone come membro di un board internazionale della Thermofisher (diagnostici). Per le ricerche di Susanna Esposito la Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico in tema di antibiotici ha ricevuto finanziamenti da Cubist. Paolo Antonio Grossi ha ricevuto contributi alla ricerca da Novartis e Astellas, ha svolto attività di consulenza per Novartis, MSD, Pfizer ed è membro di speakers bureau per Novartis, Pfizer,MSD, Gilead, Astellas, AstraZeneca, Bio Test. Gian Maria Rossolini dichiara di aver avuto rapporti di finanziamento e di consulenza con Achaogen, Rempex, Biotest, Cubist, Angelini, Pfizer, AstraZeneca, Durata Therapeutics, Menarini, Biomerieux.
Il Corriere della Sera – 9 dicembre 2013