Lo scontro con la Cgil. La replica del sindacato: «È lui che divide il Paese, è nervoso ed evoca fantasmi e complotti. Quella imboccata non è la strada giusta»
Avanti tutta. «Se ci sarà bisogno di mettere la fiducia sul Jobs act lo faremo». Prima ancora di arrivare davanti ai cancelli della Palazzoli, dove lo attende la contestazione di alcune centinaia tra operai Fiom e antagonisti dei centri sociali, Matteo Renzi lancia l’ennesimo avvertimento utilizzando la finestra mattutina del Tg5: «Il sindacato fa il suo lavoro: in bocca al lupo. Ma noi andiamo avanti perché il nostro obiettivo non è fare una battaglia politica ma far ripartire l’Italia e su questo non molliamo di un millimetro». Lo ripeterà qualche ora dopo, agli industriali bresciani riuniti nello stabilimento della Palazzoli assieme al vertice di Confindustria guidato da Giorgio Squinzi.
«È stato calcolato e progettato un disegno in queste settimane per dividere il mondo del lavoro, farne terreno di scontro», dice Renzi, che ancora una volta mette nel mirino la Cgil e quanti attraverso questo scontro hanno «bloccato l’Italia» per decenni, anche a costo di sfruttare «il dolore dei cassaintegrati e dei disoccupati». «Ma non esiste una doppia Italia – afferma ancora il premier – esiste un’Italia unica e indivisibile, che si faccia il lavoratore o l’imprenditore, e questa Italia non consentirà di scendere nello scontro». Renzi è un fiume in piena: «Tre mesi fa eravamo una banda di ragazzini inesperti, senza consiglieri bravi. Ora che hanno visto che le cose le stiamo facendo, siamo diventati i poteri forti, l’uomo solo al comando».
La reazione della Cgil non si è fatta attendere: «C’è nervosismo nelle parole del presidente del Consiglio, che ancora una volta evoca fantasmi e complotti, lancia invettive ma evita accuratamente di dire come si crea lavoro e come si rilancia il Paese». Non è il sindacato, ma il governo ad aver imboccato una «strada che divide il Paese».
Renzi però non ce l’ha solo con i sindacati. «Non c’è un uomo solo al comando – insiste con riferimento anche all’editoriale di domenica di Eugenio Scalfari – ma un popolo che
Il chiede di cambiare». E il momento per Renzi è «ora o mai più» perché «c’è un’opportunità pazzesca» e «non coglierla sarebbe un errore gravissimo», se invece «facciamo ciò di cui siamo in grado, l’Italia nei prossimi anni sarà la locomotiva d’Europa». Per riuscirci, però, basta con il «si farà» ed è questo «il senso dell’urgenza che muove me e il governo», ha detto il premier, rivendicando le scelte sulle riforme, a partire da quella del lavoro ma anche dalla delega fiscale, che – sottolinea – «è già partita e occorrerà qualche sperimentazione concreta perché, ad esempio, la dichiarazione dei redditi precompilata che arriverà a 20 milioni di persone è una rivoluzione culturale, ma dobbiamo fare in modo che quella dichiarazione necessiti il meno possibile di un intervento successivo sulle detrazioni, sulle deducibilità da parte dei professionisti. Dobbiamo lavorare molto duramente perché sia davvero una dichiarazione dei redditi in cui possa comparire tutto». Il premier conferma poi la disponibilità a sostenere il credito d’imposta per la ricerca («anche se poi il problema è come li spendiamo…») oltre al piano per l’export (nel pomeriggio ha incontrato a Palazzo Chigi i principali player del settore agroalimentare) e alla legge Sabatini. Quanto alle imposte sui capannoni industriali, il presidente del Consiglio ha spiegato che ci sarà «una sola tassa, è una tassa della città, c’è in tutto il mondo, e comprende anche la discussione sui capannoni, che sarà affidata al sindaco di quel Comune e non vedrà più lo Stato metterci bocca».
Il Sole 24 Ore – 4 novembre 2014