di Fausta Chiesa. Tassare i cibi cattivi? A dimagrire sono i conti delle aziende, non gli obesi Fat tax, soda tax, Junk food tax. Lo spettro della tassazione selettiva aleggia In Europa. Se l’Italia ha evitato il tributo sulle bevande zuccherate e sui superalcolicl, stralciato dal decreto Balduzzi nel settembre scorso, il «pericolo» non è scampato.
«L’utilizzo della leva fiscale per orientare i comportamenti alimentari degli individui è l’ultimo grido in materia di politiche pubbliche», scrive il giurista Massimiliano Trovato, ricercatore dell’Istituto Bruno Leoni, nell’esordio della sua introduzione al libro «Obesità e tasse. Perché serve l’educazione, non il fisco» uscito due settimane fa con IbL II volume indaga i presupposti e i risultati delle imposte sui vizi alimentari attraverso I contributi di economisti, giuristi ed esperti di politiche sanitarie Alberto Alemanno, Ignacio Correrlo, Katelyn Christ, Scott Drenkard, Edward Glaeser, Randall Holcombe, Lucia Quaglino. «In Europa e negli Usa — dice Trovato — negli ultimi 2-3 anni c’è stata un’ondata di questo genere di provvedimenti e anche in Italia ampi settori della società e della politica li vedono con favore».
Gli esempi documentati nel libro non mancano: in Francia un’imposta sulle bibite zuccherate è in vigore dal gennaio 2012, a fine 2011 l’Ungheria ho varato la «tassa sulle patatine» che abbraccia un’ampia categoria dl prodotti ad alto contenuto di sale, zuccheri o caffeina. Sempre nel 2011, la Finlandia ha reintrodotto un prelievo sui dolciumi e ha aumentato l’aliquota dell’imposta sulle bibite zuccherate.
Ma tassare le cattive abitudini alimentari e in generale i vizi serve? «Prima bisogna capire qual è l’obiettivo di questi tributi: se è migliorare la salute, la letteratura è concorde sul fatto che non funzionano, Per avere influenza sui comportamenti alimentari dovrebbero essere più elevate e avere una base imponibile più ampia. Così generano un effetto di sostituzione, il consumo si sposta su altri alimenti altrettanto dannosi». E per quanto riguarda Il gettito? «C’è una certa raccolta che però è trascurabile. il rischio è che il saldo complessivo non sia favorevole e che si perdano posti di lavoro, perché la tassa causa anche una riduzione dell’attività economica e dell’indotto». La tassazione selettiva inoltre produce un effetto distorsivo della concorrenza, perché ne beneficiano alcune produzioni a danno di altre e poi riduce la libertà di scelta del consumatore. «Inoltre — aggiunge Trovato — c’è il pericolo che la scelta della tassa sia influenzata dai gruppi di pressione. I contributi selettivi sono una pessima idea non funzionano né come politica fiscale né come politica sanitaria».
Corriere della Sera Economia di lunedì 28 gennaio 2013