Alberto Terasso. Lo sconcerto è palpabile, così come è puntuale la linea difensiva: da una parte, “sia ben chiaro che non è in discussione la carne rossa”; dall’altra, “se stiamo parlando dei preparati utilizzati nella lavorazione della carne, dobbiamo dire anche che qualcuno ha autorizzato l’uso di ingredienti, come condimenti e conservanti”. Giuliano Marchesin, direttore dell’associazione produttori Unicarve, teme il contraccolpo che potrebbe scatenarsi sui consumi dopo l’allarme lanciato dall’Organizzazione mondiale della sanità.
La reazione dei consumatori andrebbe ad abbattersi su una realtà produttiva che in Veneto conta un migliaio di aziende professionali, cioè allevatori, che lavorano su 450mila bovini. Il valore di mercato di questa platea si ottiene moltiplicando per 1700 euro ogni capo: ne derivano cifre importanti. «Quanto all’occupazione la filiera garantisce lavoro nei mangimifici, ai macellatori, ai sezionatori, confezionatori, trasportatori, macellai… – insiste Marchesin – diciamo che possiamo contare circa 10mila addetti nell’indotto».
Ma come si difende la carne del Veneto? «Fortunatamente – dice il direttore – abbiamo, ormai da tempo, il marchio QV, la Qualità Verificata della Regione. Anche per le carni si è adottato un disciplinare di produzione che offre tutte le garanzie e le possibili certezze al consumatore». Inevitabile, però, è il rimando, se non al complotto, agli interessi che potrebbero trovare cittadinanza all’ombra delle considerazione svolte dall’Oms.
Marchesin non ci gira troppo attorno: un allarme del genere che tende a ridurre il consumo di carne, evidentemente favorisce altri alimenti: «I vegani fanno certamente salti di gioia di fronte a queste notizie – sorride – ma ci sono certamente interessi industriali molto importanti». Resta un elemento che è indigeribile, nel vero senso della parola, per gli addetti ai lavori: la confusione che si è verificata accostando alcol, sigarette e amianto alla carne. «Una follia. Ripeto – insiste il responsabile di Unicarve – la carne rossa non c’entra e al consumatore si può ben dire che può scegliere un hamburger di pura carne o uno con condimenti. E che questi ultimi sono stati autorizzati».
Serve informazione, insomma, e una corretta divulgazione delle notizie. Tra l’altro, resta il problema della quantità massima per ora non chiarita – di carne che si può consumare senza rischiare consegenze negative. «Ma via! – conclude Marchesin – Se per tre mesi mangio solo carote, mi ritroverò addosso un’iperconcentrazione di certe vitamine. Probabilmente non sopravvivo».
Il Gazzettino – 27 ottobre 2015