Da Cedroni a Cracco: educhiamo i clienti a cibi alternativi. A peso d’oro. E non è un modo di dire, considerando il prezzo — un milione di euro — pagato per un tonno di 222 chili dall’imprenditore giapponese Kiyoshi Kimura proprietario di un’importante catena di ristoranti: 110.000 porzioni di sushi e sashimi assicurate.
Notizia rimbalzata sui media italiani. «Loro possono, noi no» commenta Chicco Cerea, chef del ristorante «Da Vittorio» a Brusaporto (Bergamo). «Sia chiaro — precisa — non parlo di quattrini e non sono invidioso. Sostengo semplicemente che i vincoli di mercato relativi al tonno rosso, a rischio estinzione, devono valere per tutti. Mentre in Europa e in Italia si fanno battaglie di sostenibilità, che condivido, i giapponesi non si limitano agli acquisti milionari dei loro pesci oceanici ma si accaparrano anche il miglior tonno rosso del nostro Mediterraneo». Cerea sintetizza una verità che ha trovato riscontro recente a Doha, durante la 15° Conferenza delle Parti della Cites (Convenzione internazionale sul commercio delle specie in pericolo) quando su 129 Paesi 72 hanno votato contro la proibizione del commercio (43 a favore, 14 astenuti) del pregiato Bluefin. Di conseguenza, il tonno rosso non è stato inserito nella speciale lista di tutela di animali e piante.
Ciò detto, il Bluefin, richiestissimo in Giappone (che acquista circa l’80 per cento di quello mediterraneo), ha dalla sua gli ambientalisti (Wwf, Greanpeace, Lav, Legambiente, Marevivo), che fanno appello a ristoranti, commercianti e consumatori perché smettano di venderlo e consumarlo. I riscontri positivi ci sono. Gli chef della catena «Relais&Chateaux» (40 in Italia), per esempio, sono impegnati a bandire nei menu tutte le specie minacciate da attività di pesca non rispettose del periodo di fermo, così da consentirne la riproduzione. E basta interpellare alcuni tra i cuochi «stellati» del nostro Paese per rendersi conto della loro coscienza ecologista. Concordano tutti sul concetto di stagionalità del prodotto. Ittico, in questo caso. E sono persino riusciti a far tramontare la moda della «tartare di tonno», inflazionata come la rucola negli anni Ottanta. «Basta far presente che è difficile trovare il tonno buono, che ce n’è molto di meno, e il cliente ti segue — ragiona Carlo Cracco, conosciuto anche dal grande pubblico attraverso MasterChef —. La nostra proposta culinaria diventa un tassello di educazione alimentare». Si è adeguato Moreno Cedroni, l’inventore del susci (sic) all’italiana. «Togliere il tonno dal menu era oggettivamente complicato per me. Allora ho introdotto il Bonito, cioè il tonno bianco, dimezzando quello rosso, che ora utilizzo quasi esclusivamente per le bresaole», spiega lo chef marchigiano della «Madonnina del Pescatore» e del «Clandestino». Emanuele Scarello, friulano (ristorante «Agli amici», Godia), molto critico verso la follia dei giapponesi, enuncia: «La natura ci dà tanto, ma tanto ci toglie. Bisogna saperla rispettare». Il tonno rosso del Mediterraneo (dalla tonnara di Carloforte) lo mette in carta in stagione, cioè nella tarda primavera. «Come faccio con gli asparagi», sottolinea. Anche per Nino Di Costanzo («Il Mosaico», Ischia) la stagionalità del mare è importante. «Perché insistere sul tonno rosso quando è una specie a rischio? Allora, scelgo la più delicata palamita o il tonno alalunga che si pesca nelle nostre acque. Parlo molto con i pescatori», conclude. Fabio Baldassarri, chef di «Unico», il ristorante più alto di Milano (ultimo piano di un grattacielo), parteggia, come Di Costanzo, per la palamita, «pesce ottimo e meno costoso». Il Bluefin? «Non del tutto eliminato, ma quasi».
Marisa Fumagalli – Corriere della Sera – 7 gennaio 2013