Il M5s: «Pfas, la Regione è inadempiente. Poteva fermare la produzione, introdurre limiti, ordinare la bonifica»
Quello che l’assessore Coletto ha detto fin da quando, nel 2013, emerse lo scandalo dei Pfas (e cioè che la Regione non può fare niente in questo campo), non corrisponderebbe al vero. «E purtroppo la più grande falsità mai detta dalla Regione Veneto», ha affermato ieri senza mezze misure il consigliere regionale del Movimento 5 stelle Jacopo Berti in un incontro per aggiornare sull’inquinamento delle acque del Vicentino ma non solo. Secondo i grillini, Palazzo Balbi sarebbe dunque colpevole di «non aver avuto il coraggio di prendere una scelta forte». Perché, secondo lo studio che hanno presentato i consiglieri regionali Berti e Manuel Brusco, insieme alla consignera comunale di Montecchio Maggiore Sonia Perenzoni, «erano moltissime le azioni che la Regione poteva fare: dall’ordinare alla Miteni la sospensione della produzione, all’introdurre dei limiti alle sostanze che possono essere immesse nelle acque, fino all’ordinare la bonifica delle aree».
A sostegno delle proprie tesi, i consiglieri hanno messo in tavola il combinato disposto di leggi, sentenze ed interpretazioni giurisprudenziali che portano a riconoscere in capo ai vertici regionali la possibilità di predisporre ordinanze volte a tutelare «la salute del vicinato», da intendersi in senso ampio.
È il Regio decreto 1265 del 1934 a prevedere in capo al podestà (oggi sindaco) tale potere che, attraverso le successive interpretazioni, decreti legislativi e sentenze del Tar si trasferisce alla Regione quando il problema ha una dimensione più ampia. Cioè, il caso della vicenda Pfas, che riguarda 180 chilometri quadrati su tre province e 400 mila veneti. Presupposto per l’applicazione della norma è l’inclusione della fabbrica tra le “industrie insalubri di prima classe”, come definite dal Regio decreto. «Ed è l’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata a Miteni nel 2014 – ha spiegato Berti – ad includere lo stabilimento di Trissino in questa categoria». Da qui deriva la «possibilità di chiedere immediatamente l’introduzione di limiti di legge e di far sospendere la produzione».
«E siccome – conclude il consigliere – la situazione è grave oggi come prima, come testimonia l’ultimo nostro esposto in procura, chiediamo che la Regione non perda più tempo ed intervenga subito, applicando semplicemente la legge: noi le abbiamo dimostrato che si può fare e non ci sono più scuse».
Come ha sottolineato Perenzoni, tra le colpe della Regione (così come del sindaco di Trissino e della Provincia) ci sarebbe anche quella di non aver ordinato alla Miteni il ripristino della situazione precedente e la bonifica di terreni e acque. «Lo consente – ha sottolineato l’articolo 452 della legge sugli ecoreati, prevedendo arresti e multe in caso di non ottemperanza all’ordinanza. Ma questa non è stata fatta e così la specie di bonifica che sta facendo di sua spontanea volontà rende Miteni non perseguibile per eventuali mancanze in tempi e modi».
Infine, ancora Perenzoni punta il dito sui limiti fissati per il depuratore di Trissino a maggio del 2015. «Sono una barzelletta, perché di fatto non c’è nessun limite, visto che si parla di livelli di concentrazione medi annui e nemmeno l’amministratore delegato Nardone sa quanti Pfas abbia sversato Miteni nelle acque lo scorso anno».
LA REPLICA. Ma la Regione ha subito replicato con l’assessore all’ambiente Gianpaolo Bottacin. «Blocco della produzione e bonifica: ma se fosse possibile, perché non lo avremmo fatto? La verità è che il rimpallo di competenze di cui parlano i consiglieri pentastellati non esiste: lo ha detto l’Organizzazione mondiale della sanità, citando la nostra Regione come l’unica a essersi mossa. Il dato oggettivo è che l’articolo 101, comma 1, del decreto legislativo 152 del 2006 prevede che sia lo Stato a porre limiti sugli scarichi delle acque; il comma 2 stabilisce che le Regioni possano metterli più restrittivi. Ma come possiamo essere più restrittivi del nulla? Sulla chiusura della Miteni – conclude Bottacin – il procuratore di Vicenza ha detto che non essendo fissato un limite, non ci sono superamenti illeciti e quindi non c’è reato. E lo Stato che non facendo la sua parte rende spuntate anche le nostre armi». (Il Giornale di Vicenza – 13 luglio 2016)
13 luglio 2016