Ma i sindacati capiscono ancora la società? Quella distanza che rischia di penalizzarli nel conflitto con il Governo. E nel rapporto con il Paese
Lina Palmerini, il sole 24 Ore. Ma i sindacati capiscono ancora la società? Il dubbio c’è perché la loro reazione sul caso-Colosseo non sembra in sintonia con cittadini. Una distanza che rischia di penalizzarli nel conflitto con il Governo. E nel rapporto con il Paese.
A leggere le dichiarazioni di Susanna Camusso a difesa dei lavoratori riuniti in assemblea – lasciando in coda per ore i turisti – viene in mente che la questione di fondo del sindacato è che non sembra più integrato nella società, che non capisce le esigenze dei cittadini, e che rincorre solo pezzi di corporazioni perdendo la visione d’insieme. E, così, non avendo comprensione della realtà ritorna ai vecchi schemi, come quelli usati ieri dai leader sindacali che hanno agitato la parola “democrazia” o “diritti” dei lavoratori per dare forza e legittimità a una scelta. Ma prima quelle parole avevano un senso – e tante battaglie meritorie sono state vinte – ma oggi scomodare la parola “democrazia” per una assemblea di lavoratori pubblici sul rinnovo contrattuale è onestamente troppo. E anche un po’ falso. Vuol dire allora che quelli in coda per ore in attesa di entrare al Colosseo, turisti italiani e stranieri, sono cittadini di una democrazia minore a cui tocca programmare le vacanze seguendo il calendario delle scadenze contrattuali. Tra l’altro non siamo più nemmeno in quelle stagioni dense di rivendicazioni nelle fabbriche ma più modestamente parliamo di lavoratori pubblici nei Beni Culturali. Che dovrebbero, tra l’altro, essere i primi e i più sensibili nella promozione dell’immagine dell’Italia, delle sue bellezze storiche e artistiche. E invece – dal Colosseo a Pompei – sono disposti a metterla a rischio per tre ore di assemblea durante l’orario di lavoro. Difficile poi ascoltare la retorica, anche sindacale, di quanto i governi e il Paese non scommettano sul patrimonio artistico.
Un danno per la reputazione dell’Italia, dicevano ieri Renzi e Franceschini, ma un danno per lo stesso sindacato che con queste scelte mostra di aver perso una visione d’insieme. Eppure, anni fa, il sindacato rivendicava la titolarità ad averla ed esprimerla. E la ottenne, fu negli anni ’90 nella stagione della politica dei redditi inaugurata dall’ex premier Ciampi. Quella scelta portò alla concertazione e metteva il sindacato – e le associazioni di imprese – a uno stesso tavolo con il Governo a discutere di interesse generale. Ieri dell’interesse generale non c’era traccia in nessuna dichiarazione dei leader sindacali. E serve a poco accusare il Governo di aver estromesso il sindacato dalla concertazione perché la loro fragilità nasce prima e viene dal fatto di aver perso una forza di gravità sulla società. L’unico baricentro resta il “ricco” segmento dei pensionati. Che però non basta per dare ragione d’essere a un sindacato confederale. Ci sarebbero dei nodi veri per cui varrebbe una battaglia: i giovani e l’Europa ma sono ignorati. Eppure in Europa ci sono 23 milioni di disoccupati, di cui 12 milioni di lunga durata. Eppure la politica economica non si fa più a Roma, che deve spedire in Europa la sua legge di stabilità, ma ormai si decide tra Bruxelles e Francoforte. Lì i sindacati sono del tutto assenti.
Ci sarebbero parole nuove da dire ma si preferisce difendere un’assemblea di lavoratori in nome della democrazia. E alla fine il Governo ha avuto gioco facile a spiazzare il sindacato con un decreto in cui i musei vengono inclusi tra i servizi pubblici essenziali, con annesse nuove regole sullo sciopero. Della scelta era stato avvisato il Quirinale e – quindi – Renzi e Franceschini sono andati dritti approfittando dell’ennesima volta in cui il sindacato ha perso la sua occasione di mettersi in sintonia con la società.
Lina Palmerini – Il Sole 24 Ore – 19 settembre 2015