Roberto Mania. Parte la riforma della pubblica amministrazione. Nel Consiglio dei ministri della prossima settimana dovrebbero essere varati i primi decreti attuativi. L’insieme dei decreti (circa una ventina) sarà approvato nell’arco del primo semestre del 2016. Lo ha annunciato ieri il ministro della Funzione pubblica, Marianna Madia, ospite di Repubblica Tv.
Perché la riforma funzioni sarà determinante il ruolo dei dipendenti pubblici. «È finita l’epoca della retorica dei fannulloni nella pubblica amministrazione. Il motore della riforma sono i lavoratori pubblici», ha detto il ministro. Partita non facile, però. I contratti pubblici sono fermi dal 2009 per le scelte dei governi che si sono succeduti, stretti tutti dall’emergenza finanziaria e i 300 milioni di euro stanziati nella legge di Stabilità non consentiranno incrementi retributivi superiore ai 10 euro mensili. Troppo poco per rimotivare i 3,3 milioni di lavoratori pubblici che mediamente sono anche tra i più anziani d’Europa.
Prima, tuttavia, i sindacati con l’Aran dovranno ridefinire i comparti contrattuali (dagli attuali undici dovrebbero ridursi a tre o quattro) poi cominceranno le trattative (i sindacati si sono detti pronti a incontrare il governo anche a Natale). «Si riaprirà — ha detto Madia — con una cifra che spero aumenti nel tempo, ma questo dipende dalla crescita dell’Italia».
Da una parte i rinnovi contrattuali, dall’altra il ricambio (anche generazionale) dei dipendenti pubblici. Nella riforma cambia il sistema di reclutamento. Resteranno i concorsi ma — ha spiegato il ministro — le singole amministrazioni non potranno muoversi «come un corpo a sé» senza tenere conto dei reali fabbisogni. «Dobbiamo assumere personalità che servano a far arrivare un servizio ai cittadini». E tutti i circa 4.000 vincitori di concorso saranno assunti («hanno acquisito un diritto che verrà rispettato »). Non altrettanto per gli idonei che, appunto, non hanno alcun diritto ad essere assunti.
Gli ultimi decreti attuativi riguarderanno la questione dei licenziamenti, in particolare la non applicazione del nuovo articolo 18 nel pubblico impiego. Il ministro ha ribadito che il settore della pubblica amministrazione non può essere paragonato a quello privato: «Se introducessimo il principio del Jobs act nella pubblica amministrazione faremmo un doppio danno alla collettività. Perché se il licenziamento di un lavoratore pubblico che viene pagato con risorse pubbliche, fosse riconosciuto viziato, si dovrebbe pagare per l’ingiusto licenziamento e oltretutto si dovrebbe fare un concorso per assumerne un altro al suo posto».
Nel primo pacchetto di decreti ci sarà l’introduzione del Pin unico per accedere ai servizi: sarà sperimentale da gennaio per 300 servizi tra cui l’Inps e l’Agenzia delle entrate.
Repubblica – 18 dicembre 2015