Confindustria rinnova e rilancia il suo impegno nella lotta alla criminalità organizzata davanti alla commissione Antimafia. La presidente Rosy Bindi (Pd) nell’audizione di ieri del vicepresidente Ivan Lo Bello e del numero uno di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, ha espresso il suo «apprezzamento» per le recenti dichiarazioni del presidente degli industriali, Giorgio Squinzi: i corruttori, ha detto Squinzi, «non possono stare in Confindustria».
E Rosy Bindi ha dichiarato il suo plauso anche per il lavoro a difesa della legalità tra gli imprenditori svolto in questi anni da Montante e Lo Bello. Entrambi hanno tracciato un’analisi dettagliata e aggiornata dell’aggressione mafiosa sull’economia. Lo Bello ha sottolineato come «la mafia opera in una dimensione di mercato, così il fenomeno dell’estorsione resta rilevante ma, a causa della crisi, il prezzo del controllo, il pizzo, si è abbassato». Il ricavato, ha aggiunto, «garantisce il welfare mafioso: con quegli introiti si sovvenzionano le famiglie dei carcerati». L’usura, invece, «si diffonde soprattutto nelle zone del Paese con maggior ricchezza». Lo Bello poi mette in particolare evidenza il fenomeno del riciclaggio: «È la vera questione. Il business vero di Cosa nostra è quello». Così mette in guardia contro la diffusione «soprattutto nelle grandi città» di una serie di «nascite e trasferimenti di proprietà di imprese, quelle commerciali in particolare, che all’improvviso moltiplicano il loro fatturato a dismisura». Dietro, è implicito, c’è il riutilizzo di capitali illegali.
Antonello Montante, che è anche delegato Confindustria per la legalità, ricorda come «nel 2007 abbiamo fatto una due diligence tra i nostri colleghi. Ed è scattata così la sanzione sociale, rivelatasi più forte della paura della mafia». Perché con lo slogan «chi non denuncia i mafiosi è espulso da Confindustria» è iniziata una rivoluzione «su cui continuano a lavorare ogni giorno». Montante rammenta anche «il rating di legalità» ormai «ratificato con legge»: un riconoscimento ufficiale per le imprese virtuose non solo sul piano dei bilanci ma soprattutto sul rispetto della legalità, che impone alle banche, quando le aziende hanno i punteggi più alti, di avere un atteggiamento più favorevole sul piano dei finanziamenti.
Anche il presidente di Confindustria Sicilia racconta le nuove minacce mafiose alle imprese, soprattutto quelle più deboli: «Con un gioco di società costituite come scatole cinesi, attraverso un meccanismo ufficialmente legale, Cosa nostra rileva i capitali delle imprese in difficoltà. Abbiamo diverse evidenze su questo».
Rosy Bindi alla fine dell’audizione ha messo in rilievo che «il rapporto tra mafia e corruzione è molto stretto e anche se questa commissione non ha una esplicita competenza sui fenomeni di corruzione politico-economica – spiega il presidente dell’Antimafia – non potremo non approfondire anche questo versante con una ricognizione sull’efficacia sulle norme che regolano contratti e appalti».
Il Sole 24 Ore – 6 giugno 2014