Un gruppo di scienziati di Singapore individua una mutazione genetica del parassita della malaria responsabile della sua resistenza all’artemisina, il principale farmaco attualmente a disposizione. Questa alterazione, che rafforza il virus e gli permette di vivere più a lungo, è molto diffusa nei paesi asiatici e solo in piccola percentuale in Africa. Lo studio* su Science
Gli scienziati della Nanyang Technological University, a Singapore, hanno scoperto in che modo il parassita della malaria ha sviluppato una resistenza alla principale linea di farmaci utilizzata per la cura della malattia. Lo studio* è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Science.
La chiave della abilità del parassita di sopravvivere e crescere nonostante l’impiego di artemisina, una delle principali terapie utilizzate in combinazione con altri farmaci, sarebbe dovuta ad una sua mutazione genetica riscontrata nella stragrande maggioranza dei casi di malaria in Asia. Non è la prima volta che il parassita della malaria riesce a sviluppare una resistenza ai trattamenti farmacologici, ma l’artemisina è ad oggi l’ultimo farmaco efficace per curare la malaria.
Mediante una tecnica cost-effective basata su microarray, il team di Zbynek Bozdech della School of Biological Sciences dell’Università NTU, ha analizzato 1.000 campioni prelevati da pazienti di malaria nella zona della regione del Mekong, incluse Cambogia, Thailandia, Vietnam, Laos e Myanmar, zone in cui la malaria è ancora prevalente. L’elemento di sorpresa, individuato dagli scienziati, è che in queste regioni quasi tutti i parassiti presentavano una mutazione genetica ed avevano ì sviluppato resistenza all’artemisina: una differenza genetica, questa, che differenzia il parassita della Cambogia da quello del Congo o di altri paesi africani, dove solo l’1-3% dei parassiti risultano mutati e negli altri casi la farmaco-resistenza non è ancora stato testata.
Il risultato odierno è stato raggiunto correlando i dati clinici dei mille campioni con i risultati genomici ottenuti mediante queste tecniche personalizzate, ha spiegatoZbynek Bozdech, Professore Associato della NTU.
Il parassita si è ‘rafforzato’, rendendosi resistente, in due modi differenti, come spiega il Dottor Sachel Mok, ricercatore alla NTU. “In primo luogo, esso aumenta la sua capacità di riparare il danno causato dall’antimalarico, elemento che gli conferisce una maggiore possibilità di sopravvivere”, illustra Sachel Mok. “In secondo luogo, il farmaco è più efficace quando il parassita si trova nelle ultime fasi del suo sviluppo, quando esso rallenta la sua crescita e può così sopravvivere più a lungo rispetto a quando si trova negli stadi iniziali. Utilizzando metodi come l’analisi dell’espressione dei geni, abbiamo collegato questi due fenomeni ad un gene chiamato K13, che è stato precedentemente associato con la resistenza al farmaco ma non era chiara la modalità con cui ciò avveniva”.
Il risultato apre la strada a nuove prospettive di ricerca per trattamenti farmacologici, in particolare nella decisione di quale combinazione di farmaci potrebbe essere più efficace insieme all’artemisinina per curare meglio i pazienti.
La malaria è una malattia che colpisce circa 60 milioni di persone al mondo e può risultare fatale. La malattia è portata da un parassita con cui si può venire a contatto attraverso la puntura di una particolare zanzara, in Paesi del mondo in cui la malattia è endemica, principalmente in Africa e in alcune regioni asiatiche.
“Ciò che la storia ci ha insegnato nel caso dei farmaci precedenti è che anche con un farmaco antimalarico efficace, tutto sta nell’applicare un cambiamento ai parassiti della malaria”, conclude il
Professor Bozdech, “e così ci troveremo di fronte ad una profonda sfida che consiste nel tentare di contenere di nuovo la loro crescita”.
Viola Rita – Quotidiano sanità – 17 dicembre 2014
*S. Mok et al., Population transcriptomics of human malaria parasites reveals the mechanism of artemisinin resistance. Science, 2014; DOI: 10.1126/science.1260403