Direttori generali dell’Usl 1 di Belluno e allo stesso tempo presidenti del cda della società del Codivilla Putti. Doppio lavoro, doppio stipendio, ma ora anche doppia stangata per Alberto Vielmo ed Ermanno Angonese. I due ex dg dell’azienda sanitaria sono stati infatti condannati a restituire (fino all’ultimo centesimo) l’equivalente dei soldi ricevuti nel periodo in cui sono stati alla guida della società mista Usl-privati che gestiva l’ospedale di Cortina d’Ampezzo
Vielmo, che ha ricoperto la carica di presidente dall’1 gennaio 2000 al 31 dicembre 2007, dovrà risarcire 332 mila euro, mentre Angonese, subentrato dall’11 aprile 2008, dovrà sborsare 75 mila euro. Più gli interessi, ovviamente, e le spese legali di poco più di un migliaio di euro, per un totale che supera i 400 mila euro.
L’udienza si era tenuta lo scorso novembre, ma la sentenza è stata pubblicata pochi giorni fa dalla prima sezione centrale della Corte dei Conti. Ed è una sentenza choc, per due motivi: il primo è che la Corte romana, giudice d’appello nei processi contabili, ha ribaltato la sentenza di primo grado della Corte dei Conti del Veneto, che nel 2011 aveva assolto Vielmo e Angonese; il secondo è che è arrivata proprio negli stessi giorni in cui il viceprocuratore regionale Alberto Mingarelli, che era stato il pm contabile pure di questa vicenda, ha portato a processo i due ex manager sanitari anche per un altro episodio (l’udienza si è tenuta giovedì scorso) relativo al Codivilla, ovvero le analisi tariffate sotto costo dall’Usl 1 alla casa di cura, con un danno erariale contestato di altri 590 mila euro, di cui 32 mila per Vielmo e 52 mila per Angonese. La procura, che in appello era rappresentata dal magistrato Roberto Benedetti, aveva ribadito quanto emerso nel corso del primo processo di tre anni fa: ovvero che quei due incarichi, cioè quello di controllore come dg e di controllato come presidente di una struttura facente parte dello stesso territorio erano assolutamente in conflitto di interessi e che erano stati violati i principi di «esclusività della prestazione lavorativa a favore dell’ente pubblico di appartenenza» e dell’«omnicomprensività della retribuzione del direttore generale». Accuse che i due imputati avevano cercato di smontare, affermando che non c’era stato alcun danno erariale per questa condotta, a loro dire del tutto lecita.
Secondo i magistrati romani, l’impostazione della procura è stata corretta: «Nella odierna fattispecie, trattandosi di funzioni apicali svolte in due strutture collegate, il principio di omnicomprensività resta integro in tutta la sua portata», scrivono i giudici nella sentenza. Ma il vero problema sta altrove: ovvero laddove la Corte parla di «palese incompatibilità» negli incarichi oggetto della contestazione della procura. «È del tutto evidente la funzione di vigilanza, anche e soprattutto ai fini del controllo amministrativo in ordine all’attività della società medesima – continua la sentenza – Ciò risulta in totale e palese contrasto con le regole dell’agire amministrativo, confondendo enti pubblici ed enti o società ad essi strumentali, confondendo controllore e controllato». A titolo di esempio i giudici ricordano che in più di un’occasione il presidente-dg si era astenuto da alcune votazioni del cda proprio per «evitare di comparire contemporaneamente su due versanti formalmente distinti».
Il danno erariale c’è stato, dice la Corte di secondo grado, a differenza dei suoi colleghi veneziani. La spiegazione è semplice: «L’aver ricoperto il doppio incarico ha determinato che l’apporto lavorativo è stato inferiore non solo per quantità ma soprattutto per qualità dello stesso, risultando compromesse la sua imparzialità e correttezza, specie per quelle importanti funzioni di controllo che la legge, come già evidenziato, assegna al direttore generale dell’azienda sanitaria». Vielmo per la vicenda delle analisi con il maxi-sconto era pure finito di fronte al tribunale di Belluno con l’accusa di truffa, venendo poi assolto. E i suoi avvocati non avevano mancato di sottolinearlo di fronte al collegio. I giudici, però, non ne hanno tenuto conto.
Alberto Zorzi – Corriere Veneto – 14 aprile 2014