Marco Zatterin. La Commissione Ue farà uso di «una certa flessibilità» di giudizio per tenere conto delle spese sostenute dai governi per fronteggiare la crisi migratoria. Il presidente dell’esecutivo comunitario, Jean-Claude Juncker, lo ha affermato all’Europarlamento.
L’Unione verrà così incontro a chi ha salvato vite umane e accolto i disperati, ma «valuterà caso per caso» per decidere se questa o quella capitale abbia davvero sostenuto «sforzi straordinari» e compromesso gli obiettivi di bilancio per gestire l’ondata dei rifugiati. In caso di giudizio positivo, si avrà uno sconto contabile, come per chi riforma o investe. E’ necessario, dice il lussemburghese: «Sono tempi eccezionali e il patto di Stabilità non è più quello di una volta».
Opportunità per Roma
E’ l’opportunità che inseguiva il governo Renzi, che ora dovrà dimostrare a Bruxelles che nello scrivere il budget 2016 ha dovuto spostare risorse alla voce «Accoglienza, Salvataggi, Vigilanza sulle frontiere» sottraendo denari da altre iniziative. I dati sono abbondantemente spiegati da pagina 15 a 19 della versione italiana del Def. Il Tesoro stima che si tratti di 3,3 miliardi di extracosti, cioè 0,2 punti di Pil, somma analoga a quella impegnata per l’anno che si va chiudendo. Ottenendo il bonus per i rifugiati, Palazzo Chigi ha indicato di poter portare il valore totale della manovra 2016 da 26,6 miliardi a 29,6. Un dato non condiviso dai Servizi Bilancio di Senato e Camera per i quali il valore reale potrà arrivare a 31,8 miliardi. Renzi aveva parlato di una manovra «accessoriata» da 30 miliardi.
Un segnale preciso
Juncker gli offre ragione di essere ottimista. Fa il politico, non l’eurocrate. Tanto che a Bruxelles ci sono voci di sostanza per le quali «il presidente si è spinto più avanti di quanto pensassimo e ha voluto dare un segnale preciso». In pratica, il lussemburghese ha buttato il cuore oltre l’ostacolo e ora toccherà ai tecnici trovare una quadra fra l’auspicio del grande capo e le regole di monitoraggio delle politiche dei Ventotto. Quello che è certo, come largamente scontato, è che non ci sarà una «clausola» precisa come nel caso di riforme e investimenti. Ma che si lavorerà sulla flessibilità già insita nei patti.
«Il 15 ottobre – ha spiegato Juncker – abbiamo comunicato agli Stati che nel qualificare le spese destinate alla crisi dei rifugiati, e il loro effetto sui bilanci, abbiamo deciso di applicare una certa flessibilità». Nel far questo, assicura, a Bruxelles si farà attenzione a che il beneficio vada a chi lo merita davvero. «Faremo un’analisi “Paese per Paese” e vedremo in che misura si deve tener conto di costi che comporta la politica dei rifugiati», promette il lussemburghese, anche perché ci «sono Stati, anche tra i grandi, che non fanno sforzi sufficienti». Non si vogliono far regali. Chi vuole lo sconto, «deve dar prova di disporre del necessario senso di responsabilità».
Nei piani per il 2016 il governo fissa il deficit al 2,2% del Pil, dato che rivede l’impegno dell’1,8. Roma intende coprire la differenza di 0,4 punti con l’euroclausola per gli investimenti (0,3) e aumentando dello 0,1 la riduzione già concessa da Bruxelles come premio per le riforme (è dello 0,4, incorporato nel disavanzo all’1,8%). In totale, se approvato, il bonus Ue sarebbe di 0,8 punti, ai quali i migranti aggiungerebbero altri due decimi, arrivando a flessibilità totale di un punto, cioè 16 miliardi di sconto. Non male, per un’Unione di eurocrati cattivi.
La Stampa – 28 ottobre 2015