Il Sole 24 Ore. I conti. Il mancato accordo sui tagli agli sconti fiscali «dannosi» fa slittare il decreto ambientale Costa: «Presto in Cdm» . Oltre a tax expenditures e tagli servono coperture intorno allo 0,5% del Pil
L’obiettivo è ambizioso, perché il catalogo degli sconti dannosi pubblicato a luglio dal governo stima in 19,3 miliardi il costo complessivo nel 2018, per cui un taglio generalizzato del 10% porterebbe poco meno di due miliardi. Ma è anche politicamente azzardato, perché nel conto rientrano voci come l’accisa più leggera sul gasolio (4,9 miliardi all’anno), i rimborsi agli autotrasportatori (1,26 miliardi) o gli aiuti all’uso di prodotti energetici in agricoltura (865 milioni). Al decreto non è bastato indicare che sarà la legge di bilancio a individuare ogni anno gli sconti da tagliare. Anche perché è un passaggio scontato.
Proprio gli sconti fiscali sono del resto uno dei dossier al centro delle riunioni al ministero dell’Economia nella corsa alle coperture della manovra. La sfida è complicata anche dall’inevitabile taglio alle stime di crescita per l’anno prossimo: l’ultima previsione è arrivata ieri dall’Ocse, che per il 2020 italiano indica un modestissimo +0,4%, e nemmeno la Nota di aggiornamento al Def attesa per la prossima settimana andrà oltre lo 0,3-0,4%. E meno crescita, com’è ovvio, significa più deficit.
Le cifre ufficiali arriveranno appunto fra pochi giorni con la Nadef. Ma i termini del problema non sono complicati da definire. I risparmi sulla spesa per interessi (3,5-4 miliardi meno del previsto, ai tassi attuali) e per le due misure bandiera del governo Conte-1 (circa 5 miliardi fra quota 100 e reddito di cittadinanza, dopo i 2,5 miliardi del 2019 confermati ieri dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico) dovrebbero portare il deficit 2020 di partenza intorno a quota 1,5%. Ma la manovra ha l’obiettivo dichiarato di evitare i 23,1 miliardi di aumenti Iva (1,25% del Pil), avviare con 5 miliardi il piano triennale di tagli al cuneo fiscale, finanziare nuove misure per la famiglia e gli asili nido e rilanciare il piano Impresa 4.0. E, ovviamente, non può trascurare le spese «indifferibili». Per questa via, però, senza coperture si fa in fretta a portare il deficit verso il 3,2 per cento del Pil. Cifra ovviamente lontanissima dai programmi di governo. Per il momento il ministro dell’Economia Gualtieri non dà ovviamente cifre, ma il lavoro a via XX Settembre si sta orientando verso un disavanzo nominale intorno al 2-2,1% anche alla luce dei primi confronti avvenuti lo scorso fine settimana all’Ecofin di Helsinki.
Di qui il lavoro che in questi giorni ha occupato le prime riunioni di ministro, vice e sottosegretari per trovare misure anti-disavanzo. E qui, accanto ai risparmi incrementali di quota 100 e reddito di cittadinanza, tornano protagoniste le ipotesi di revisione degli sconti fiscali, e rientra immediatamente sotto i riflettori il tema sollevato dal decreto verde. Ma per arrivare a un obiettivo da 2-2,5 miliardi, come discusso in sede tecnica in questi giorni, non ci si può limitare al capitolo ambientale. Una cifra analoga sarebbe messa in conto a una nuova tornata di spending review, mentre resta da definire una cifra indicativa per le misure su pagamenti tracciabili e lotta al contante che dovrebbero alimentare il capitolo dell’anti-evasione.
Fin qui, però, si riesce a fermare il deficit nominale intorno a quota 2,5-2,6%, cioè circa 10 miliardi (mezzo punto di Pil) sopra i livelli commestibili in Europa. E non sono eventuali sconti contabili, sotto forma di scorporo di spese dai vincoli del Patto, a poter risolvere il problema. Perché il piano dovrà presentare anche un’inversione di rotta del debito in un orizzonte triennale, dopo la sfortunata esperienza dei programmi sui 18 miliardi di privatizzazioni, ambiziosi ma presto rivelatisi irrealizzabili.