di Claudio Tito. « Non si può aprire una crisi di governo sulla legge di bilancio. Non ce lo possiamo permettere » . L’allarme rosso è scattato ieri mattina al Senato. Tutto stava per precipitare. Paolo Gentiloni è stato a un passo dalle dimissioni. Tutta colpa di quella miriade di emendamenti alla manovra economica che possono trasformare l’approvazione della principale legge dello Stato in un assalto alla diligenza.
E nello stesso tempo Palazzo Madama è diventato improvvisamente il terreno per saldare gli ultimi conti nel centrosinistra e nei rapporti tra il Pd e il pezzo di sinistra che intende allearsi con Matteo Renzi, ossia quella che fa capo a Giuliano Pisapia. Che alla fine strappa un impegno: l’abolizione parziale dei cosiddetti superticket sanitari.
Lo scontro, però, ha portato il premier a una conclusione: la legislatura è finita davvero. E a farne le spese sarà probabilmente la proposta di legge sul biotestamento.
Tutto inizia alle 11,30. Gli uomini del Tesoro presenti al Senato, a cominciare dal viceministro Morando, sfogliano il faldone degli emendamenti. Il governo aveva previsto per eventuali “ interventi occasionali” uno stanziamento di 250- 300 milioni. Ma le richieste della maggioranza arrivano a un miliardo e mezzo, cinque volte di più. «Così – è il diktat fatto pervenire da Padoan – non ce la facciamo. Così salta tutto». «Ma così – è la risposta di Laura Bianconi, capo gruppo degli alfaniani di Ap – per noi salta il governo » . La crisi – poi rientrata – a quel punto è virtualmente aperta. Il primo detonatore è quindi il partito del ministro degli Esteri. Ma la spina più acuminata è quella di Campo progressista, quella di Pisapia. Il suo rappresentante, il senatore Uras, strattona l’Economia. « Se ci dite no – avverte – viene meno il progetto politico della nostra alleanza».
Nella sala che ospita l’esecutivo a Palazzo Madama, cala il gelo. Vengono chiamati tutti i capigruppo di maggioranza e corre il ministro per i rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro. La tensione è altissima. Il gruppo di Ap mette sul tavolo la sua richiesta «inderogabile »: ripristinare il bonus bebè, costo 180 milioni nel 2018 e 400 milioni nei due anni successivi. Finocchiaro alza il telefono e chiama il coordinatore degli alfaniani, Maurizio Lupi. Che conferma: « Possiamo rinunciare a tutto il resto, ma se salta il bonus bebè noi non votiamo la legge di Bilancio. Nemmeno con la fiducia».
Vola qualche parola grossa. E gli uomini di Pisapia partono all’attacco. « Vanno aboliti i superticket ». Palazzo Chigi chiama direttamente l’ex sindaco di Milano. « La politica è anche questa – è il suo sfogo – se non si può discutere di queste cose, allora è finita. Non vale la pena fare politica. Non vale la pena insistere su questa alleanza con il Pd » . In poche ore Gentiloni si trova dunque a fronteggiare la crisi di governo e la potenziale frattura della nascitura coalizione tra il suo partito e Campo progressista. I numeri della maggioranza al Senato non offrono spazi di trattativa. Anzi, con il passaggio di fatto di larga parte dei senatori di Ap sulle sponde berlusconiane, l’esecutivo cammina già su un crinale scivolosissimo. Perdere quei voti, significa cadere nel dirupo.
Una telefonata arriva anche a Matteo Renzi. Il leader Pd non vuole incidenti ora. Ricorda di aver già dato il suo placet al bonus bebè e soprattutto non vuole ferite insanabili con Pisapia: «Vanno accolte tutte le richieste possibili che vengono dalla sinistra » . È anche il modo per mettere in difficoltà l’Mdp di Bersani e D’Alema. Tra i ministri presenti a Palazzo Madama parte una prima consultazione. Non tutti sono d’accordo a cedere. Prende forma anche un certo fastidio per l’assenza del sottosegretario Boschi cui viene rimproverato di non aver preparato e lavorato per tempo agli emendamenti.
Alla fine vengono respinte le altre richieste ma viene reintrodotto il bonus bebè e si offre a Pisapia un’apertura sui superticket sanitari. Non a caso i tempi di approvazione della legge di Bilancio slittano. Sarebbe dovuto finire tutto lunedì prossimo ma gli emendamenti del governo saranno pronti per mercoledì. Gentiloni tira un sospiro di sollievo però ai capigruppo ammette: «La Legislatura è finita». Ci sarà sicuramente il tentativo di approvare la legge sullo Ius soli. Per il Biotestamento, invece, servirebbe tutto il mese di gennaio. Ma questa crisi evitata solo in extremis sta dando una prospettiva definita sia a Palazzo Chigi sia al Quirinale. Le elezioni si terranno a marzo. La data più probabile è il 18 e sarà un election day.
Repubblica – 24 novembre 2017