di Paolo Russo. «Ridurremo chirurgicamente gli sprechi ma per reinvestirli in sanità», assicura la titolare della Salute, Beatrice Lorenzin, nella conferenza stampa dei “magnifici 4” del Pdl al governo. «Non siamo sicuri di poter evitare interventi sulla sanità, purtroppo per lasciare l’Imu, tagliare il cuneo e finanziare le altre misure in programma le risorse non bastano», sembra smentirla il vice-ministro dell’Economia, Stefano Fassina. Così a pochi giorni dal varo della legge di stabilità sul Fondo sanitario nazionale sembra destinata ad abbattersi una manovra da 3 miliardi di euro, uno a valere sul 2013 e gli altri due sul 2014. Nel mirino dei tecnici dell’Economia, che starebbero però lavorando anche con quelli della Salute, ci sono i reparti ospedalieri sottoutilizzati con almeno 16 posti letto da chiudere o riconvertire, 5mila laboratori di analisi in sovrannumero e i soliti prezzi impazziti degli acquisti di beni e servizi sanitari.
Cose di per se non sgradite alle regioni che però di tagli al fondo non vogliono sentir parlare e minacciano di non firmare il Patto per la salute.
Partiamo dal taglio «retroattivo», quel miliardo sul 2013 oramai agli sgoccioli. L’Economia applaude le regioni che con le ultime manovre avrebbero risparmiato due miliardi più del previsto. Quindi «per premio» ne taglierebbero uno al fondo sanitario che per quest’anno deve ancora essere ripartito. Il problema è quei risparmi sono calcolati rispetto alla spesa prevista per fine anno e non al fondo, che è più basso e che alla fine si tingerà pure di rosso. Per cui quel taglio rischia di lasciare a secco le casse regionali.
Per il 2014 si sta lavorando invece di cacciavite. Esclusi nuovi ticket i tecnici starebbero rispolverando il “regolamento Balduzzi” per la riorganizzazione della rete ospedaliera, previsto dalla vecchia spending review ma poi rimasto impantanato tra veti incrociati di alcune regioni e sindacati. Quel regolamento, oltre a ribadire lo standard di 3,7 posti letto ogni mille abitanti, fissava al 90% il tasso di utilizzo degli stessi letti e in meno di 7 giorni la durata media delle degenze. Il che equivale fare a meno di circa 16mila posti letto, senza tagli a casaccio ma chiudendo i battenti di quei reparti che lavorano sotto giri. «Gli standard valgono poi anche per il personale, nel senso che per ogni tipologia di posto letto si stabilisce quanti medici e infermieri sono necessari»”, precisa Il coordinatore degli assessori regionali alla sanità, il veneto Luca Coletto. Che di per se non boccia il piano, ma specifica che «personale e posti letto vanno riconvertiti per garantire servizi dove ci sono carenze non per giustificare nuovi tagli». E in quest’ottica si vorrebbe ritentare la chiusura degli ospedaletti con meno di 120 posti letto, che sono ancora oltre 160, costosi e pericolosi perché privi di servizi di emergenza.
I risparmi “pronto cassa” arriverebbero però dalla chiusura del laboratori di analisi in sovrannumero. L’Agenas, l’agenzia per i servizi sanitari regionali del Ministero ne ha censiti cinquemila. Solo nel Lazio ci sarebbero 500 laboratori, mentre per le esigenze della popolazione ne basterebbero 50. Per un buon tre quarti si tratta di piccole strutture private, che le Regioni rimborsano cash. Chiuderle darebbe quindi risparmi certi e immediati.
Poi ci sono i costi dei beni e servizi, da quelli di lavanderia a cose tecnologiche come stent, tac e risonanze. Lo scorso anno si era provato a porre ordine alla giungla dei prezzi con un nomenclatore tarato però troppo verso il basso, tanto da essere annullato dal Tar. Sempre l’Agenas ha ora raffinato lo strumento definendo dei prezzi di riferimento più realistici ma comunque in grado di contenere la spesa. Tutte misure che l’Economia potrebbe però decidere all’ultimo di sostituire con tagli più grezzi ma a gettito assicurato, mentre la Lorenzin spera ancora non se ne faccia niente.
Intanto i medici scrivono a Letta per chiedere che «la sanità non sia ancora una volta l’agnello sacrificale» e il presidente della conferenza delle Regioni, Vasco Errani ricorda che «già nel 2013, per la prima volta, il fondo sanitario ha subito un decremento rispetto all’anno precedente».
La Stampa – 10 ottobre 2013