Accordo internazionale: le due professioni devono riuscire ad assicurare un’unica salute. A Bangkok il 13 ottobre è stato siglato un Mou, memorandum of understanding (memoria di intesa), secondo il quale dovranno convergere in un’unica disciplina la medicina e la veterinaria.
Lo hanno firmato la World Medical Association (Wma) e la World Veterinary Association (Wva), citando in premessa la collaborazione con organismi internazionali variamente collegati alle Nazioni Unite: dall’Oms al Wto, passando per la Fao, l’Oie (Associazione mondiale della salute degli animali) e il Codex Alimentarius.
L’accordo suggella un impegno a «collaborare al concetto di un’unica salute, che consiste in un approccio unificato alla medicina umana e veterinaria per migliorare la Salute Globale» (le maiuscole sono nel testo originale).
Non si tratta, dunque, di uno scambio di dati ma dell’adozione di un metodo unificato e olistico per la ricerca e la cura, con l’intento di creare degli standard uguali per tutti gli organismi viventi: uomo, animale e vegetale.
Equiparato così a qualsiasi altro organismo, l’essere umano rientra nella visione monista e materialista tipica di molta parte dell’Oriente, dove si ritiene che tutto sia riconducibile a uno.
Come sempre succede, in tempi moderni, quando si sta compiendo una trasformazione clamorosa, un oltraggio alla legge naturale e alla tradizione, la si introduce in modo periferico, senza attirare l’attenzione ma capillarmente, e soprattutto con ottime motivazioni. Lo scopo infatti è di promuovere la salute e il benessere, e garantire la sicurezza: motivazioni che costituiscono le fondamentali ragioni d’essere dell’Oms e, con l’aggiunta dello scopo della pace, di tutte le agenzie e gli addentellati delle Nazioni Unite.
Colpisce, però, la mancanza di clamore attorno a un passo tanto rilevante, che porta di fatto allo spodestamento dell’essere umano dal centro dell’attenzione e delle cure (dove lo pone il pensiero occidentale ellenistico, giudaico-cristiano) verso una marginalità di sapore New Age in cui sarà scrutato con lo stesso freddo sguardo scientifico con cui si osservano le cavie da laboratorio e la corteccia degli alberi.
Di questo accordo, infatti, si trovano notizie solo sul sito One Health Iniziative (Iniziativa Una-salute), che curiosamente rimanda a una monografia del 2009 pubblicata su una rivista veterinaria italiana (di regola sono i ricercatori italiani che cercano di pubblicare in inglese). Da questo sito si impara anche che Una-salute è il compimento di un’azione portata avanti da un team che già nel 2010 a Princeton aveva istituito un corso universitario avente per oggetto la fusione della medicina umana con quella veterinaria.
Forse non è peregrino l’accostamento di questa iniziativa a un’altra decisione di Princeton: l’assegnazione di una cattedra a Peter Singer, vessillifero dei diritti degli animali e teorico dell’eutanasia per i neonati. Fra le sue affermazioni: «Siccome i feti, i bambini appena nati e i disabili sono meno coscienti e razionali di certi animali non umani, è legittimo ucciderli».
ItaliaOggi – 14 dicembre 2012