
Medici positivi in corsia: è scontro. Le Regioni chiedono al governo che i camici bianchi asintomatici e con 3 dosi rimangano al lavoro. Protestano Ordine e sindacati: «Follia». Ieri nuovo record di contagi
Il Corriere del Veneto. Sta sollevando un vespaio la «proposta indecente» presentata al governo dalle Regioni di «concentrare sui sintomatici l’attività periodica di screening sugli operatori sanitari, prevedendo che i medici e gli infermieri positivi al tampone ma asintomatici e già vaccinati con tre dosi possano lavorare nei reparti Covid». «Tale modalità permetterebbe di liberare risorse in un momento difficile — recita la lettera firmata dai governatori —. Medici e infermieri negativi potrebbero infatti essere destinati al funzionamento di reparti non-Covid in area medica e chirurgica».
Il primo a insorgere è l’Ordine dei Medici, che con il presidente di Venezia e vicepresidente nazionale Giovanni Leoni scandisce: «Proposta irresponsabile, l’attuale picco di contagi causato dalla variante Omicron non giustifica l’intenzione di contrastare le regole scientifiche varate proprio per proteggere i pazienti, tra cui l’obbligo vaccinale imposto agli operatori sanitari al fine di evitare che diventino veicolo di contagio. La vaccinazione è strumento di prevenzione, non il lasciapassare per poter lavorare da positivi. Ricordo una verità ormai acclarata e cioè che anche gli asintomatici possono infettare. Purtroppo in questo momento gli interessi economici tendono a influenzare pesantemente le regole — aggiunge Leoni — ma noi siamo rispettosi dei dogmi della scienza, che possono essere aggiornati solo dalle istituzioni di riferimento, cioè il ministero della Salute, il Comitato tecnico scientifico e l’Istituto superiore di Sanità».
Proprio l’Iss ha già bocciato l’altra richiesta delle Regioni, caldeggiata dal Veneto, di cambiare la definizione di «caso Covid», riservandola ai soggetti sintomatici e con tampone positivo. Accolta invece dal ministero, ma al momento solo in una bozza di ordinanza, l’istanza di sottrarre dal computo dei ricoverati Covid i degenti entrati in ospedale per altre malattie e scoperti infetti dal tampone di ingresso. «Nelle prossime ore apriremo un tavolo di confronto con le Regioni sulle questioni da loro avanzate», ha annunciato il ministro della Salute, Roberto Speranza, ma sembra destinato a rimanere lettera morta il reinvio in corsia dei sanitari contagiati dal Covid e asintomatici. Idea ispirata dalla decisione adottata nella prima ondata di rimandare al lavoro medici e infermieri contatti di soggetti infetti ma negativi al tampone e soprattutto legata alla drammatica carenza di personale a fronte di un’ondata pandemica importante. Nel Veneto ci sono 850 sanitari sospesi dal servizio perché no vax e altri 3.286 a casa col Covid, di cui 1.288 infermieri e 480 medici (dati Azienda Zero). «Non è un buon motivo — avverte Giampiero Avruscio, presidente Anpo Padova (primari) — ci dimentichiamo che proprio gli scienziati padovani hanno dimostrato per primi l’esigenza di sottoporre a tampone anche gli asintomatici perché in grado di veicolare il virus? E poi da una parte teniamo in quarantena colleghi che si sono ammalati ma ormai si sono negativizzati e dall’altra mandiamo i positivi in corsia? Non possiamo far curare i malati da persone contagiate, che ne sappiamo di quale sia la carica virale idonea a non trasmettere il Covid? Ancora una volta la politica si dimostra cieca, sorda e muta».
Concorda la Cimo, sigla degli ospedalieri in Veneto guidata dallo stesso Giovanni Leoni, che denuncia «il tentativo di cambiare le regole per mascherare i deficit gestionali e organizzativi delle aziende sanitarie, a costo di modificare parametri utili per le valutazioni epidemiologiche e del rischio». L’altro sindacato degli ospedalieri, l’Anaao Assomed, giudica invece «sciagurata la proposta delle Regioni, che trasformerebbe i reparti ospedalieri in cluster e questo non possiamo proprio permetterlo. Dopo due anni di pandemia ci aspetteremmo soluzioni diverse alla carenza di personale». E gli infermieri si schierano con i camici bianchi. «Dal punto di vista morale e professionale penso tutto il male possibile di questa trovata — sottolinea Andrea Gregori, portavoce veneto del Nursind che da domenica è a casa col Covid —. Se dopo due anni di pandemia si ricorre ancora a misure emergenziali per affrontare il sotto-organico, significa che si è imparato poco. Siamo contrari, si prolunga l’inattività di colleghi ormai guariti ma a riposo perché non ancora negativizzati e spediamo in reparto quelli a cui l’infezione è stata appena diagnosticata? E allora, siccome ormai non è più un’emergenza sanitaria ma sociale, usiamo lo stesso criterio per tutti i lavoratori. I cittadini sono tutti uguali». «Siamo messi talmente male che ci si dimentica della necessità di curare anche chi cura — riflette Giuseppe Cicciù, presidente del Tribunale del Malato —. Siccome Omicron si diffonde 4 volte più di Delta ma non ha ricadute cliniche importanti sui vaccinati, allora si può rischiare? E’ una pericolosa balordaggine».
Figlia di un’impennata di contagi che ieri nel Veneto si è tradotta con il valore più alto finora registrato: 25.166 nuovi casi e 44 decessi, per un triste totale di 12.797. La Regione si avvicina alla zona arancione, con 1.797 ricoveri in area medica (+31), a fronte di un limite di guardia di 1800 (e relativo tasso di occupazione letti del 30%), e 208 in Terapia intensiva.