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Medici, sulla stretta alle pensioni: rinvio o tagli solo a chi esce prima. La ministra Calderone conferma le due ipotesi. La decisione arriverà in settimana

Il Governo stringe sulle correzioni del taglio previsto in manovra alle pensioni che colpirebbe una platea complessiva di 732mila dipendenti pubblici, di cui 150mila medici e infermieri. Che venerdì in audizione in Senato hanno ribadito il loro secco no alla stretta, confermando lo sciopero che per i camici bianchi è previsto il 5 dicembre. La pista più accreditata al momento per arginare le proteste, ma anche la più complicata per le coperture da trovare, è quella di colpire con i tagli soltanto i sanitari e gli altri dipendenti pubblici – tra i quali i più numerosi sono i lavoratori degli enti locali – che decideranno di andare in pensione in anticipo.
Chi invece dovesse raggiungere la pensione di vecchiaia non dovrebbe subire nessuna riduzione dell’assegno pensionistico. La seconda via su cui spinge soprattutto la Lega (ma non solo) è quella di rinviare il taglio di almeno un paio di anni, anche perché i risparmi della misura all’inizio saranno ridotti: nel 2024 a esempio si stimano soltanto 11,5 milioni di minore spesa per le casse dello Stato, ma fino al 2043 la misura pesa per ben 2,3 miliardi.

La stretta riguarda, come è noto, il ricalcolo delle aliquote della parte retributiva delle pensioni – per i contributi versati dal 1981 al 1995 – che secondo i sindacati si può tradurre in tagli che arrivano fino al 25% dell’importo della pensione. I sindacati dei camici bianchi parlano di «tempesta perfetta che svuoterà gli ospedali e per questo – ha detto ieri tra gli altri Pierino Di Silverio, segretario nazionale Anaao-Assomed (la sigla più importante degli ospedalieri) – chiedono il ritiro della norma».

Fa i conti sull’impatto della misura anche Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale Ordini professioni infermieristiche, audita anche lei dalla commissione Bilancio in Senato: «La norma sulle pensioni porterebbe a un taglio di circa 300 euro al mese: sarebbe un gravissimo errore visto, che un lavoratore dopo 40 anni di attività già percepisce una pensione di 1.400 euro. Così rischia di prenderne 1.100».

La decisione arriverà la prossima settimana, ma per vedere il correttivo vero e proprio occorrerà attendere il maxiemendamento del governo al Ddl di bilancio all’esame del Senato, anche se continua a restare aperta la pista sempre di una modifica al decreto Anticipi. La scelta sarà politica, guardando anche a Bruxelles che vigilia con attenzione sul sistema previdenziale italiano, ma molto dipenderà anche dalle coperture. I tecnici della Ragioneria e dell’Inps sono al lavoro su platee e risorse da trovare. L’ipotesi di inasprire il taglio alle indicizzazioni delle pensioni più elevate sembra perdere quota. Mentre un potenziale, piccolo aiuto (ma non sufficiente) potrebbe arrivare dal decreto del Mef in arrivo con cui la rivalutazione degli assegni pensionistici sarà probabilmente “parametrata” al 5,4% e non al 5,6% indicato nella relazione tecnica della manovra. Lo stesso ministro del Lavoro, Marina Calderone, che non sarebbe stata coinvolta direttamente nel concepimento della “norma incriminata”, ha lasciato intendere che le opzioni sul tavolo sono due: il mantenimento della stretta così com’è ora esclusivamente sulle pensioni di anzianità di tutta la platea coinvolta salvaguardando gli assegni di vecchiaia, oppure il rinvio di due anni della misura. In questo secondo caso la data di decorrenza verrebbe comunque indicata nero bianco nel testo della manovra. Ieri intanto Giuseppe Conte ha annunciato che il M5S presenterà un emendamento per cancellare la norma.

 

Il Sole 24 Ore

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