Sono come una partita di calcio. Durano 90 minuti. Ci vuole preparazione, tecnica e anche una buona dose di fortuna. Dopo aver passato l’estate a fare pratica sui libri a quiz, il 9 settembre gli aspiranti medici e dentisti si giocheranno il futuro con i test d’ingresso. E le statistiche non sono favorevoli.
Dato il boom di iscrizioni (il 23% in più), per chi sogna il camice bianco le possibilità di farcela sono meno degli altri anni. C’è poi l’incognita della graduatoria nazionale, la novità del bonus assegnato in base al voto di maturità (con 10 punti al 100 e lode, e via via a scendere fino a uno assegnato all’80), e il nuovo test che, in risposta alle polemiche annuali sulle domande improbabili, punta meno sulla cultura generale e più sulla logica e il ragionamento. Ecco perché tra i ragazzi c’è chi pensa a come giocarsi i supplementari, dandosi una seconda chance, all’estero. Ma non sempre conviene.
Per Medicina e Odontoiatria, la sfida più dura (ad Architettura ce la fa quasi uno su due), i posti sono sempre gli stessi, circa 11 mila (rispettivamente 10.021 e 954), ma i concorrenti sono aumentati di quasi un quarto: hanno presentato la domanda in 84.165, mentre negli ultimi due anni erano stati all’incirca 69 mila. Ma se solo uno su otto ce la fa, gli altri possono contare su un «piano B»?
La strada maestra è iscriversi a una facoltà affine come Biologia o Scienze naturali e fare almeno due o tre esami e dopo riprovare. È vero che non è possibile aggirare il test, e occorre rifarlo e superarlo l’anno prossimo, ma non si sarà perso troppo tempo dato che potranno essere convalidati biologia o biochimica, fisica e statistica o matematica applicata.
Le vie d’uscita sono anche altre. Si sprecano gli annunci in rete di università rumene o albanesi che promettono titoli da dentista o da medico. Si può andare all’estero, ma non sempre vale la pena. «Anche Francia e Spagna hanno una sbarramento. Ecco perché non sono poi tanti gli studenti che ci provano lì», dice il professor Andrea Lenzi, presidente del Cun (consiglio universitario nazionale) e di Medicina alla Sapienza. Il vero boom è verso la Romania, dove il test non è previsto, ma occorre aprire gli occhi perché gli atenei riconosciuti sono tre: Bucarest, Arad e Oradea. E comunque è inutile cercare di aggirare il test, perché l’iscrizione non dà diritto al trasferimento in Italia. Per di più si rischia di aver sì studiato, ma di trovarsi senza niente in mano. «I crediti degli esami — spiega Lenzi — sono una sorta di “moneta unica dell’istruzione” nell’Ue. Ognuno corrisponde a 25 ore di apprendimento e consente di tradurre in equivalenza gli esami», ma una apposita commissione del corso di laurea di Medicina dell’Università decide se si può riconoscere o meno quelli acquisiti all’estero. Quella per gli studenti provenienti dalla Romania «viene fatta con particolare attenzione».
E per i dottori che si sono diplomati all’estero? L’equipollenza (ossia il valore legale del titolo) non è un automatismo, ma richiede una valutazione del percorso formativo da parte di una università italiana. Per esempio il laureato in Spagna che vuole esercitare in Italia può chiedere l’autorizzazione al ministero della Salute in base a una direttiva europea del 2005. Ma anche in questo caso può essere richiesta l’integrazione di alcuni esami, come medicina legale, una materia che cambia in base alle legislazioni di ciascun Paese. E un medico di Tirana? L’Albania non fa parte dell’Ue per cui lì non si applica la direttiva. La trafila prevede invece una domanda al ministero della Salute che sottopone il candidato ad alcuni esami, che, se superati, consentono di svolgere la professione in Italia.
A chi non riesce a passare il test quest’anno cosa consiglia il professor Lenzi? «Prima di tutto verificare la vocazione e se si è sicuri provare ancora. Perdere un nuovo Pasteur sarebbe un peccato».
Melania Di Giacomo – Corriere della Sera – 27 agosto 2013