In un contesto di tensione lavorativa, di travalicamento di compiti istituzionali e di reiterati atteggiamenti di prepotenza, il dipendente accusato di ingiurie verso il collega burbero può essere scriminato dall’esimente del diritto di critica. Lo afferma la Cassazione nella pronuncia 19577/12.
Il caso
Alta tensione in corsia. Una donna è chiamata a rispondere, dinnanzi al Giudice di Pace di Firenze, del reato di ingiuria in danno di una collega dottoressa. La diatriba era sorta dopo la formulazione di una diagnosi diversa a proposito di una degente, proseguita con un alterco e accuse di prepotenza e di mancanza di professionalità, conclusa con la richiesta di analisi formulata dal medico strappata e gettata nel cestino in segno di ulteriore disprezzo. Il Giudice di Pace assolve l’imputata, però la Corte d’Appello riforma la sentenza impugnata e condanna l’iraconda al risarcimento dei danni morali. La Cassazione rileva come la dottoressa bersaglio di ingiuria era stata in passato sospesa dal proprio servizio a cagione del suo comportamento presso il nosocomio. La vicenda processuale si colloca perciò in un panorama di acerrimo conflitto tra le due donne, la prima assegnata al reparto di pediatria, l’altra al settore didattica e ricerca. L’attrice, mal sopportando quella che aveva intuito come una manifesta indebita interferenza nella sua professione, aveva proferito le parole nel contesto delicato di una consulenza genetica su una bambina affetta da malformazioni. Così contestualizzando la vicenda, la donna – pur apparendo pacifica l’oggettività offensiva delle parole dette – appare scriminata dall’esercizio di diritto di critica, come correttamente ritenuto del primo giudice. Il fatto si poneva insomma come manifestazione di dissenso per il diverso parere espresso dalla collega più anziana, in un contesto di travalicamento di compiti da parte di quest’ultima e di indebita ingerenza nell’ambito lavorativo altrui.
La Stampa – 21 agosto 2012