La Corte di Cassazione (sentenza 14930/12) ha rigettato il ricorso di un medico condannato per omicidio colposo a causa di un approccio terapeutico e diagnostico negligente ed erroneo che aveva portato alla morte di un paziente.
Il sanitario, dopo ben due visite compiute in una settimana, aveva escluso che i persistenti dolori al petto riferiti fossero determinati da problemi cardiaci e per contro aveva diagnosticato una gastrite e problematiche ansiose, ritenendo superflua una più approfondita visita ospedaliera. Il medesimo giorno della seconda visita, a causa di un peggioramento delle condizioni, il paziente si era recato in ospedale dove l’acutizzarsi dell’infarto, in atto da giorni, lo portò alla morte. Nel ricorso il medico lamenta l’impossibilità, in assenza di autopsia, di identificare le patologie tra la prima e la secondo visita e la mancata considerazione da parte dei giudici di merito delle valutazioni peritali che non avevano riscontrato errori professionali nelle visite domiciliari. In realtà, sostiene la Suprema Corte, tutti gli elementi, le testimonianze e le diagnosi degli ospedalieri convergono senza alcuna incoerenza sulla grave mancanza del medico di famiglia che, oltretutto, aveva sì consigliato una visita cardiologica ma non con urgenza bensì rinviabile alla settimana seguente. Se ne inferisce una grave imprudenza concretatasi nel non valutare i sintomi chiaramente indicativi di una grave patologia cardiaca. «Tale apprezzamento è logicamente appropriato e vale a collocare correttamente l’indagine eziologica nella cornice condizionalistica della causalità omissiva; sicché il giudizio di probabilità logica sull’effetto salvifico delle condotte omesse è rapportato alle specifiche contingenze dell’occorso e conduce a ritenere ragionevolmente dimostrata la risolutività di una condotta conforme alla leges artis»
La Stampa – 26 giugno 2012