Il disegno di legge di stabilità 2013-2015 interviene in più punti e con diverse fasi temporali sulla struttura delle due più importanti imposte del nostro sistema tributario, l’Irpef, con il taglio di agevolazioni e la riduzione delle prime due aliquote, e Iva, con l’incremento, seppure dimezzato rispetto a quanto già previsto, dell’aliquota ordinaria e di quella intermedia.
Nel comparto delle famiglie la manovra a regime vale complessivamente circa un miliardo di sgravio fiscale. L’importo è modesto, non sufficiente a sostenere la crescita. Ma soprattutto, sul piano distributivo, il tax shift da Irpef a Iva non avvantaggia i livelli più bassi di reddito mentre in questa fase congiunturale l’alleggerimento fiscale dovrebbe al contrario concentrarsi proprio sulle fasce più povere dei contribuenti. Questa performance redistributiva assai insoddisfacente deriva dal combinarsi dell’aumento dell’Iva, imposta di per sé regressiva rispetto al reddito, con la riduzione delle aliquote più basse dell’Irpef di cui tuttavia non possono approfittare proprio i contribuenti più poveri, che già oggi sono incapienti per l’operare della no tax area.
Per mitigare il vantaggio fiscale che la rimodulazione delle aliquote Irpef consente ai contribuenti relativamente più ricchi, oltreché per ragioni di gettito, il governo ha previsto, come detto, una stretta pressoché lineare sulle agevolazioni fiscali. È un dare e togliere che poteva essere meglio rimodulato nei suoi esiti distributivi. Inoltre, il ddl di stabilità prevede soltanto il taglio delle aliquote legali e non interviene, come sarebbe stato necessario, anche sulla struttura delle detrazioni per carichi di lavoro, che non sono più coerenti con la nuova aliquota del 22%. Una svista che dovrà però essere corretta.
Per valutare gli effetti redistributivi che la manovra Irpef-Iva avrà sulle famiglie abbiamo utilizzato un modello di microsimulazione fiscale basato sui dati dell’indagine Banca d’Italia sui redditi familiari e dell’indagine Istat sui consumi.
Per quanto riguarda l’Irpef, dalla revisione delle agevolazioni fiscali il 42,6% delle famiglie non subisce alcun aggravio di imposta rispetto alla situazione attuale, mentre il rimanente 57,4% vede aumentare il prelievo. Le cose cambiano quando confrontiamo l’impatto per decili di reddito: la stretta sugli oneri fiscali penalizza la maggior parte delle famiglie a partire dal quinto decile, anche se l’aggravio medio è relativamente contenuto. Nei primi due decili di reddito le famiglie che subiscono un aggravio sono poche, poiché qui incide fortemente il fenomeno dell’incapienza.
Peraltro, la prevista franchigia di 250 euro per i contribuenti con reddito superiore a 15 mila euro opera su ogni spesa fiscale individuata dalla manovra: il debito d’imposta cresce dunque all’aumentare delle tipologie di spese fiscali e quindi non è coerente con il principio di equità orizzontale. Rispetto a un taglio lineare parametrato su ciascun onere sarebbe stato più coerente, così come avviene per le detrazioni per lavoro e famiglia, prevedere una decrescenza lineare rispetto al reddito per l’ammontare complessivo. Ciò avrebbe evitato anche il salto d’imposta al superamento dei 15 mila euro: il ddl di stabilità introduce un incentivo ad evitare di superare tale soglia, incentivo che può essere particolarmente conveniente per i lavoratori autonomi.
Il taglio delle aliquote Irpef riduce il debito di imposta per l’85,2% delle famiglie, mentre lascia invariata la posizione fiscale del restante 14,8%; ma le famiglie che beneficiano della manovra, a causa dell’incapienza dei contribuenti più poveri, si concentrano soprattutto nelle fasce alte di reddito. Considerate congiuntamente, le due componenti della manovra IRPEF, agevolazioni più aliquote, producono un aggravio soltanto per l’1,8% del complesso delle famiglie, mentre l’83,3% guadagna e il 14,8% è indifferente. Guardando alla composizione per fascia di reddito è evidente che la quota dei contribuenti che si avvantaggiano è tutta sbilanciata a favore delle famiglie con redditi medio-alti e ciò perché, come detto, la riduzione delle aliquote non avvantaggia i redditi bassi.
In termini percentuali di reddito il risparmio di Irpef è pari allo 0,54% del reddito delle famiglie nel loro complesso. Dal terzo al nono decile di reddito si ottengono, in media, vantaggi superiori, mentre molto più contenuti sono i risparmi percentuali per il secondo e per l’ultimo decile. Rimane sostanzialmente invariata la situazione del primo decile.
Passando all’aumento del l’Iva, l’aggravio a regime è invece nettamente decrescente rispetto al reddito familiare a conferma del carattere regressivo di questa imposta: da 1,1% per il primo decile allo 0,26% per l’ultimo.
La manovra nel suo complesso, con meno Irpef e più Iva, comporterà in media una riduzione fiscale di appena lo 0,1% del reddito delle famiglie. Tuttavia, come mostrato nel grafico, i primi due decili subiranno un aggravio, che sarà piuttosto rilevante nel caso del primo (+1%). Tra il terzo e il nono decile, invece, il prelievo diminuirà rispetto ad oggi in misura pressoché costante, attorno allo 0,2%-0,3%. Invariata sarà invece la situazione per l’ultimo decile. Insomma nel complesso il profilo dei risparmi di imposta in percentuale dei redditi familiari finirà per avere un chiaro andamento ad U. Per una manovra presentata come redistributiva qualche aggiustamento è necessario e urgente.
Il Sole 24 Ore – 22 ottobre 2012