Alla fine, le parole attese sono giunte. Attese da Matteo Renzi, pronunciate da Angela Merkel: «Sul fronte dell’occupazione si devono eliminare le barriere presenti nel mercato del lavoro e l’Italia sta cercando di fare questo con il Jobs act, la riforma del lavoro, perciò sta compiendo un passo molto importante da questo punto di vista».
Ma poi, sono giunte anche le parole inattese, cioè un accenno di svolta, con l’apertura tedesca sul problema del cofinanziamento dei fondi europei (ogni Stato è tenuto a contribuire con una propria quota, ndr ): «So — dice la cancelliera — che ci sono governi che devono lottare per conciliare il rapporto tra il deficit e la crescita. Siamo pronti a discutere modifiche al sistema. I governi devono fare i conti su come usare questi fondi per i programmi (per esempio i 6 miliardi contro la disoccupazione giovanile, ndr ) tenendo in considerazione la questione del prefinanziamento: se il Paese coinvolto, ad esempio, deve cofinanziare il programma per due anni, allora per due anni devo considerare i costi per il programma che aumentano il deficit. Quindi posso capire che gli Stati siano molto reticenti ed esitino molto ad attuare questi programmi».
L’approvazione su doppio binario della Germania chiude un vertice che secondo la stessa presidenza italiana della Ue non è stato un vertice come tutti gli altri europei, ma «una conferenza ad alto livello sull’occupazione»: con 15-18 capi di Stato e di governo invece dei consueti 28, con l’incontro fra i ministri del Lavoro cui è mancato proprio il ministro italiano Giuliano Poletti, bloccato a Roma dal voto di fiducia sul Jobs act. Quel voto, ancora sospeso per aria a tarda sera, avrebbe dovuto essere il coronamento della «conferenza ad alto livello». Non è arrivato, ma il senso della giornata non si è esaurito in questa delusione.
Si era partiti di primo mattino, con il Centro Congressi sede dell’incontro circondato da un imponente apparato militare, agenti, carabinieri e finanzieri in assetto anti-sommossa nell’attesa di un corteo preannunciato dai metalmeccanici Fiom e dai centri sociali.
Alla fine folla contenuta, solo spintoni, petardi e lanci di uova, ma certo un’atmosfera non distesa.
All’interno del Centro, dopo l’arrivo dei leader nel primo pomeriggio, un incontro abbastanza rapido e poi la conferenza stampa con la consueta melina europea di promesse, offerte e smentite.
François Hollande, il presidente francese, alle prese con un rapporto deficit-Pil del 4,3% ben superiore al 3% voluto dalla Ue: «La Francia rispetterà tutti i suoi impegni… utilizzando tutta la flessibilità possibile». Matteo Renzi, il premier italiano: «Rispetteremo il rapporto del 3% fra deficit e Pil, ma io ho le mie idee sul 3% e le mantengo tutte: è un paragrafo pensato 20 anni fa, quando ancora non c’era Internet. Resta nel piano di stabilità che presenteremo a Bruxelles il 15 ottobre, nel piano indicheremo il 2,9% e dopo ci sarà tempo per parlarne». Traduzione: probabili nuove scintille all’orizzonte, già nel prossimo vertice dei capi di Stato e di governo, il 23 ottobre a Bruxelles.
Infine, l’augurio o cortese intimazione di Angela Merkel: «Noi tutti abbiamo un piano di stabilità, abbiamo preso delle decisioni come Consiglio dei governi, e in quel piano abbiamo anche elementi di flessibilità. Sono fiduciosa che tutti rispetteranno queste decisioni».
E che lei lo voglia o no, queste parole finiscono per planare di traverso sull’auspicio appena espresso da Renzi: «Tornare a porre l’attenzione sulla crescita significa chiedere all’Europa di tornare a essere se stessa».
Luigi Offeddu – Il Corriere della Sera – 9 ottobre 2014