Mille posti letto e 15 reparti tagliati negli ospedali veneti. Nuova mazzata del Governo da 150 milioni. Ecco le Asl interessate
La prima scossa all’architettura pluridecennale della sanità veneta giungerà entro la fine dell’anno e comporterà la riduzione di un migliaio di posti letto, con chiusura (previa accorpamento) di una quindicina di reparti e la dimissione di un ospedale privato. Misure in qualche modo contemplate dal nuovo Piano socio-sanitario della Regione ma bruscamente accelerate dalla legge di revisione della spesa – la spending review, sì – approvata tra recriminazioni e controversie dal Parlamento. Una manovra che impone al Veneto di ridurre la sua percentuale di posti letto a 3,7 per mille abitanti (3,2 riservati ai pazienti acuti, i restanti alla riabilitazione) per un totale di circa mille unità, metà delle quali dovranno includere interi reparti.
A ciò si aggiungerà l’acquisizione di un ospedale privato di Mestre ( che l’amministrazione regionale intende dismettere. Non si tratta, lo ribadiamo, di una tappa “fisiologica” nell’attuazione del Piano (che comunque prevede di scendere ulteriormente, fino a toccare in conclusione i 3,5 posti letto per mille) ma di un atto d’urgenza dettato dall’esecutivo Monti al quale la maggioranza di centrodestra che regge Palazzo Balbi intende addebitare per intero i costi e la responsabilità dell’operazione. La cura dimagrante investirà, nell’immediato, le aziende sanitarie di cinque province: “graziate” Treviso e Vicenza (le più virtuose) ma solo temporaneamente; a partire dal 2013, tagli e fusioni investiranno anche loro.
Nel dettaglio, per il Veneziano si prospettano una serie di fusioni; sull’asse San Donà di Piave-Portogruaro è prevista l’unificazione dei reparti di Medicina (assegnata al polo sandonatese) e Chirurgia (portogruarese); stessa sorte per il punto nascita, che sopravviverà nel solo ospedale di San Donà. Analogo processo riguarderà Mirano e Dolo: Chirurgia sarà monopolio del primo, la Medicina diventerà dolese. Non è tutto. In ballo c’è anche la spedalizzazione privata: obiettivo della Regione è giungere all’acquisizione di Villa Salus (o in subordine, del Policlinico San Marco) per dismetterne l’attività di degenza e dirottarne le risorse umane e materiale sul vicino ospedale dell’Angelo; in questo quadro uno strumento decisivo di pressione è rappresentato dall’accreditamento del soggetto privato da parte del sistema pubblico; l’eventuale revoca del provvedimento sottrarrebbe, de facto, ogni margine di utile all’attività dei policlinici.
Ancor più dolorosa si annuncia la manovra nel Veronese, la roccaforte di Flavio Tosi dove gli ospedali sono proliferati in modo particolarmente vistoso, con costi e oneri conseguenti; “intoccabili” vengono giudicati Borgo Trento nel capoluogo (è stato appena ammodernato con 200 milioni di spesa), il nuovo San Bonifacio, il presidio della Bassa costituito da Legnago, gli attivissimi ospedali privati di Negrar e Peschiera del Garda. Per gli altri – dal veronese Borgo Roma a Isola della Scala, da Bussolengo a Villafranca – si profilano il declassamento e la riconversione: saranno via via adibiti a centri di cura territoriale, diventando presìdi di riabilitazione, pronto intervento e medicina generica.
Anche Padova dovrà ridurre il volume dei posti letto – 200 la cifra stimata dai manager della sanità veneta – mentre Belluno dovrà eliminare un centinaio di unità (concentrate esclusivamente in città) e il medesimo copione sarà replicato a Rovigo.
Questo il disegno complessivo, elaborato dallo staff del segretario Domenico Mantoan e sottoposto all’attenzione del governatore Luca Zaia. In estrema sintesi, i 19 mila posti letto attuali scenderanno in tempi stretti a 18 mila per stabilizzarsi definitivamente (quando il Piano quinquennale avrà piena attuazione) a quota 17 mila.
La strategia risponde a requisiti tecnico-funzionali – eliminazione dei doppioni, aggressione ai centri di spesa valutati non strategici – ma ha anche un trasparente risvolto politico: in quanto rispondente ai requisiti imposti dalla spending review, la manovra d’urto non necessita del vaglio e dell’approvazione della quinta commissione, dove più elevato è il livello di “vigilanza” e maggiore risulta il potere condizionante dell’opposizione. Alla prevedibile ondata di proteste, così, la giunta Zaia replicherà attribuendo all’implacabile premier Monti l’esclusiva responsabilità dei sacrifici. A conti fatti, la scure sulla degenze e sui reparti dovrebbe comportare un risparmio strutturale annuo calcolato in 150 milioni; è la stessa quantità di risorse che il ministro della Salute ha sottratto al fondo 2012 destinato al Veneto. Coincidenza, quest’ultima, tutt’altro che casuale.
Il Mattino di Padova – 16 ottobre 2012