Mose: arrestato Galan, la Camera ha detto sì. Forza Italia in rivolta. Dall’ospedale trasferito in carcere di Opera
La Camera ha votato a larga maggioranza per l’arresto di Giancarlo Galan, deputato Fi, presidente della commissione Cultura, accusato di corruzione nell’inchiesta sul Mose. Il sesto arresto concesso dalla Camera nella storia repubblicana è passato a scrutinio segreto con 395 voti, 138 i contrari, due gli astenuti. Ieri sera Galan, dopo aver ricevuto la telefonata del presidente del suo partito, Berlusconi, è stato accompagnato dai militari della gdf, che gli hanno notificato l’ordinanza, al carcere di Opera.
«Sono profondamente addolorato», scrive il leader di Fi, «trovo particolarmente ingiusto che sia stato impedito a Galan di essere presente in Aula per potersi difendere dalle accuse». Sulla stessa linea anche i suoi avvocati: «È stata scritta una pagina buia alla Camera — hanno commentato i legali — che costituisce un precedente assai preoccupante. Gli si è negato anche il diritto minimo di essere presente per difendersi».
«Non è vero — replica Anna Rossomando, capogruppo del Pd nella Giunta per le immunità della Camera — Galan ha avuto la possibilità di difendersi, è stato audito in Commissione e ha presentato numerose memorie. Noi siamo garantisti, ma nei modi giusti». Il partito di Galan aveva provato fino all’ultimo, ieri mattina, durante la riunione dei Capigruppo, di giungere ad un nuovo rinvio. Ma invano. Il colpo di scena s’è verificato ieri mattina quando l’ospedale di Este di Padova, dove si trovava Galan, ha deciso inaspettatamente di dimettere il deputato, il quale, stando ad una precedente prognosi di 40 giorni, avrebbe dovuto restare ricoverato fino al 20 agosto. «Siccome sono diventato un appestato — ha commentato quando ha saputo delle dimissioni — non mi vogliono neanche più in ospedale». Non tutti i forzisti, tuttavia, hanno fatto quadrato attorno a Galan, al punto che il capogruppo Renato Brunetta ha espresso su Twitter «amarezza e dolore per i deputati Fi assenti ingiustificati in Aula al momento del voto». I 5Stelle chiedono ora che si dimetta da presidente della commissione Cultura.
“Sono incazzato, adesso mi hanno scaricato pure i medici”
Mentre il carrello dell’ambulanza solleva la sedia a rotelle, Galan esplode le sue ultime parole da uomo libero. «Sono incazzato… ma tanto, eh! Tanto!». La sintesi perfetta di 48 giorni appesi al voto della Camera. Un uscita di scena che ha qualcosa di cinematografico. Lui che alle 15.15 viene prelevato con calma dai paramedici nella sua stanza, la numero 22 al quarto piano dell’ospedale di Este. Lui che sfila lungo i corridoi spinto sulla carrozzella. Lui che sale sull’ambulanza, apostrofando i cronisti che sono riusciti a intercettarlo all’uscita secondaria. «Bravi, ce l’avete fatta…sarete promossi». Il portello che si chiude davanti al suo viso, sul quale si è disegnata una smorfia che pare un sorriso amaro.
Giovanni Mazzacurati, Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo, ovvero i tre accusatori, sono l’oggetto delle sue ire. Se il “doge” del Veneto, di cui è stato per 15 anni governatore, è ora chiuso nel carcere milanese di Opera lo deve solo a loro tre. «Mi hanno incastrato dichiarando il falso, io sono innocente», ha sempre ribadito. Galan nemmeno ce l’ha con chi, in Aula, ha votato a favore dell’arresto. Con i suoi assistenti, a caldo, ha commentato: «Il Pd è stato coerente, ha tenuto lo stesso comportamento avuto con Genovese e Forza Italia è stata compatta, ha provato fino in fondo ad evitarmi la galera. Dai grillini, invece, che cosa mi dovevo aspettare?».
La notifica dell’arresto è stata portata a Galan alle 20 nella sua villa di Cinto Euganeo, dove l’ambulanza dell’ospedale lo ha lasciato a metà pomeriggio. Ai finanzieri che hanno bussato alla porta è apparso tranquillo. Gli sono state trovate delle armi in casa, regolarmente registrate e affidate in custodia ai carabinieri. Sul deputato di Fi pendeva dal 4 giugno una richiesta di custodia in carcere, ma da allora qualcosa è cambiato. Si è fratturato il malleolo sinistro potando le rose del suo giardino e ora ha la gamba ingessata, l’umore nerissimo e un referto medico che dice di stare a «riposo assoluto per 40 giorni», controllare il livello di glicemia ogni 4 ore, prendere pillole per le apnee notturne e pillole per la trombosi venosa.
Tant’è che l’unica cosa che l’ex presidente del Veneto davvero non si aspettava ieri era di ricevere, già alle nove di mattina, il foglio di dimissioni. «Perché questa fretta? Mi hanno scaricato prima del voto, trattato come un appestato». È stato in ospedale dieci giorni, durante i quali ha accumulato un pacchetto alto mezzo centimetro di certificati medici inutilmente spediti alla presidente della Camera Laura Boldrini perché differisse il voto almeno dopo Ferragosto. Voleva essere in Aula, leggere la sua memoria difensiva, guardare negli occhi chi doveva giudicarlo.
Per la direzione sanitaria dell’ospedale i suoi valori clinici sono tornati normali, non servono bisogno di cure ospedaliere. E i posti letto scarseggiano. Tra l’altro il dg della Usl 17 di Este, Giovanni Pavesi, non è persona a Galan sconosciuta, visto che i due sono soci nella Ihfl, società di consulenza sanitaria. «E meno male che doveva essere mio amico, come hanno scritto i giornali. Mi hanno mandato a casa senza nemmeno avvertirmi».
L’ultimo giorno di degenza non è stato diverso dagli altri, al netto del conto alla rovescia e del gruppo di giornalisti a fare la posta fuori dalla sua stanza. Niente televisione, niente giornali, niente tablet per controllare l’andamento del dibattito. Qualche libro, un po’ di frutta. Accanto a lui la moglie Sandra Persegato e l’assistente del suo legale, Antonio Franchini. L’esito del voto gli è arrivato con un messaggino spedito da Roma. «Me l’aspettavo – ha commentato Galan, leggendo l’sms – ma mi difenderò in tutte le sedi legali. La battaglia non è finita». Per l’avvocato, che ha presentato subito istanza di concessione dei domiciliari alla procura di Venezia per motivi di salute, «è stata scritta una pagina buia alla Camera, perché gli è stato negato il diritto minimo di difendersi».
Il gip di Venezia Alberto Scaramuzza dovrà adesso valutare se concedergli i domiciliari. Nella tarda serata di ieri, dopo le visite del medico e una lunga propaggine burocratica, è stato portato con l’ambulanza a Opera. Una folla di fotografi ad attendere la sua uscita, la pioggia, le zanzare, il cancello che si apre e il mezzo che fugge via veloce. Un bidone vicino al viale alberato con dentro decine di bottiglie vuote di Amarone, Champagne, liquori. Gli ultimi sfarzi del “doge” decaduto.
Repubblica – 23 luglio 2014