Reiterazione possibile con nuovi motivi di necessità e urgenza. Al salva-Roma ritirato dal Governo erano stati aggiunti 10 articoli
Una prassi cui occorre porre in fretta un argine. Decreti legge di cui il presidente della Repubblica autorizza l’emanazione, che cambiano veste nel corso dell’esame parlamentare. In questo caso, in scena è andato il decreto «salvaRoma», che il governo, incassato il voto di fiducia, ha lasciato decadere dopo i rilievi del Quirinale, ripescandolo in parte nel «milleproroghe» approvato ieri. Problema che attiene per gran parte a meccanismi legislativi da riformare.
Per questo, dopo aver di fatto imposto al governo di lasciar decadere il vecchio decreto, infarcito nel corso dell’iter di conversione di norme e misure che nulla avevanoa che fare con il contenuto originario del provvedimento, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha riassunto le sue considerazioni in una nuova lettera inviata ai presidenti di Senato e Camera, Pietro Grasso e Laura Boldrini. Missiva che ripropone quanto lo stesso Napolitano aveva osservato nell’analoga lettera inviata il 23 febbraio 2012 agli ex presidenti Gianfranco Fini e Renato Schifani. In quell’occasione, al pari di quel che avvenne nel febbraio 2011, sotto la lente del Colle era finito il decreto milleproroghe. Napolitano «obtorto collo» decise di promulgarlo, conscio degli effetti di un suo eventuale rinvio alle Camere per una nuova deliberazione.
Ennesimo provvedimento omnibus, come quello appena lasciato decadere dal governo. Anche in quella occasione Napolitano citò la sentenza n. 22 del 2012 della Corte Costituzionale, con cui erano state cassate alcune disposizioni inserite nel «milleproroghe» del 2011, relative alla dichiarazione dello stato di calamità da parte delle Regioni. Bocciatura determinata anche per effetto dell’«estraneità alla materia e alle finalità» del decreto legge. Non solo dunque per evidenti difformità o violazioni del dettato costituzionale.
Il problema è sempre lo stesso, richiamato sia da Napolitano che da Carlo Azeglio Ciampi: il capo dello Stato non dispone di un potere di rinvio parziale dei decreti leggi sottoposti alla sua firma. Può esercitare la facoltà del rinvio totale, con tutte le conseguenze del caso, trattandosi di provvedimenti i cui effetti giuridici sono già in essere. Non resta che intervenire in corso d’opera, e la strada, che pare non preclusa dai pronunciamenti della Consulta, è proprio quella della parziale reiterazione del decreto appena decaduto.
Strada che non venne percorsa nel febbraio del 2012, anche a fronte dell’impegno assunto dal governo Monti alla «sostanziale inemendabilità» dei decreti legge. La stessa Corte costituzionale – osserva Napolitano – «ha posto come limite al divieto di reiterazione l’individuazione di nuovi motivi di necessità e urgenza». Una ciambella di salvataggio, che ha consentito al governo Letta di recuperare la norma «salva-Roma», eliminando al tempo stesso dal nuovo testo la contestatissima misura sui cosiddetti «affitti d’oro» della Pa.
L’invito è netto: nel corso dell’iter di conversione dei decreti occorre verificare «con il massimo rigore» l’ammissibilità degli emendamenti. Responsabilità che attiene in primo luogo agli stessi presidenti delle Camere. È la stessa Consulta a segnalare come la necessaria omogeneità del decreto «deve essere osservata anche dalla legge di conversione», pena l’annullamento delle disposizioni introdotte dal Parlamento «in violazione dei suindicati criteri». Ne consegue che dovranno essere dichiarati ammissibili solo gli emendamenti «di stretta attinenza» allo specifico oggetto dei decreti. Al tempo stesso, occorre metter mano a quelle che Napolitano definisce le «opportune modifiche dei regolamenti parlamentari». In serata il commento del presidente del Senato Pietro Grasso: «Rispettare i criteri indicati o non esiterò a dichiarare improponibili emendamenti di qualunque provenienza».
Il Sole 24 Ore – 28 dicembre 2013