Tra i lavoratori stagionali a rischio: per noi le galline sono tutto. Temono il sindaco di Mordano Stefano Golini e i sindacati di zona la conseguenza di questa sciagura piovuta dal cielo, se è vero che viene portata dalle anatre, involontarie “untrici” in volo promiscuo tra i filari di pioppi e i vigneti di questo estremo lembo d’Emilia, già mezza Romagna.
Così, mentre ieri i camion lasciavano Mordano con gli ultimi carichi di carcasse, gli addetti all’abbattimento preparavano già armi e bagagli per trasferirsi negli altri allevamenti targati “Eurovo”.
Sindaco e sindacati avevano preconizzato la ripartenza degli allevamenti colpiti dall’aviaria intorno a metà ottobre, ma quest’altra tegola rischia di prolungare «il vuoto produttivo fino a Natale», ipotizza Liviana Giannotti, responsabile della Flai-Cgil di Imola. «L’incognita è tutta qui – paventa Golini -, che in vista dell’autunno, stagione in cui l’industria richiede una maggior quantità di derivati delle uova, l’azienda si trovi nell’impossibilità parziale di rispondere alla domanda perdendo quote dimercato». In ballo c’è la sorte dei lavoratori stagionali, per l’85% stranieri, che ruotano intorno agli stabilimenti di Mordano e del ferrarese. Una parte di loro è stata dirottata a Cesena al confezionamento, ma per turare una falla temporanea.
«Questi stagionali vengono impiegati da un minimo di 51 a un massimo di 230 giorni all’anno – spiega Giannotti – e percepiscono l’indennità di disoccupazione in base a quanto lavorano. Se, come temo, l’epidemia di aviaria provocherà uno stop produttivo prolungato, gli operai staranno a casa e di conseguenza percepiranno un’indennità molto bassa. Perciò – conclude la sindacalista – in mancanza di una cassa integrazione per il settore agricolo, abbiamo chiesto alla Regione di intervenire ad integrare l’assegno di disoccupazione ». Sul problema è stato convocato un incontro tra l’azienda, il sindacato e le istituzioni domani alle 11 in municipio a Mordano.
Il clima nei paraggi dell’allevamento più grande del gruppo “Eurovo”, quello di via Valentonia, che ospitava mezzo milione di galline, è di un’operosità febbrile, con furgoni che vanno e vengono, tecnici vestiti con scafandri da astronauta e grossi stivali gialli, raccomandazioni urlate agli operai avvezzi a ben altreoperazioni. Ma più della paura dell’aviaria, peraltro contratta da due persone, alligna quella di perdere il lavoro. «Per ora è solo un timore perché, tra il reimpiego di Cesena e l’utilizzo delle maestranze per i lavori di abbattimento e disinfestazione, l’occupazione è ancora alta, ma in futuro temo che il problema si aggraverà».
All’uscita per la pausa pranzo, verso l’una, la maggior parte degli operai fila via muta schivando le domande e rifugiandosi tra i filari delle vigne intorno alla fabbrica in un inconsueto picnic. «Non abbiamo timori – spiega uno di loro, italiano – perché l’azienda ripartirà e la famiglia Lionello non ha mai negato il lavoro a nessuno, qua». Dopo una pausa, con un po’ di pena nella voce, aggiunge: «Per noi le galline sono tutto e non è vero che le trattiamo male. Anche l’ultimo giorno, quando si sapeva già la loro sorte, hanno sempre avuto cibo e acqua a sufficienza. C’era pure l’areazione nei momenti in cui la temperatura superava i trenta gradi». Traspare il rammarico di chi, quelle galline, le ha accudite. Ma le leggi sanitarie hanno una loro intrinseca spietatezza. «Se si corre il rischio di non abbattere i polli di un allevamento vicino in linea d’aria – riprende Golini – ci si può trovare con una nuova epidemia. Allora è meglio essere drastici». Ieri, col quinto focolaio, è successo. Prevenire è meglio che curare, ma qui la cura presuppone la morte del paziente. (Repubblica edizione di Bologna)
5 settembre 2013