Il Pil cresce ma meno del previsto: +1,2% nel 2016 invece dell’1,6%, +1,4% nel 2017 e +1,5% nel 2018. Il rapporto deficit-Pil scende al 2,3% nel 2016 e si attesterà all’1,8% nel 2017 (0,9%?nel 2018), lo 0,7% in più rispetto all’obiettivo dell’1,1% dello scorso autunno, garantendo di fatto altri 11 miliardi di flessibilità.
Un maggior deficit messo nero su bianco dal nuovo quadro macroeconomico Documento di economia e finanza, varato ieri dal Consiglio dei ministri insieme al Programma nazionale di riforma, che a ottobre sarà utilizzato per varare una manovra di bilancio da non meno di 20 miliardi con cui disinnescare anzitutto le clausole di salvaguardia fiscali, Iva in primis, da oltre 15 miliardi per il prossimo anno e confermare il taglio dell’Ires già inglobato nei tendenziali di finanza pubblica. Gli 8-9 miliardi mancanti, stando alle ultime bozze del Def, sarebbero garantiti con un intervento di circa lo 0,5% del Pil da coprire in prima battuta «attraverso un ampliamento» della spending e un riordino delle tax expenditures.
Ma per irrobustire eventualmente il pacchetto di misure per la crescita sarebbe poi necessario alzare ancora l’asticella della manovra autunnale di bilancio e individuare quindi altre risorse facendo leva su ulteriori interventi di riduzione della spesa o chiedendo a Bruxelles un margine ancora più ampio di flessibilità. Anche perché la strada degli aumenti delle tasse continua a essere considerata impercorribili dal Governo. Che al contrario si pone l’obiettivo di ridurre uleriormente la pressione fiscale, già in discesa dal 43,5% del 2015 al 42,8% del 2016 (scorporando il bonus degli 80 euro si scenderebbe al 42,2%) e a 42,7% nel 2017.
La filosofia del nuovo Def è chiara: azionare ancora la leva del deficit, pur rispettando i principali parametri Ue, per continuare a spingere la crescita, già visibile ma ancora modesta. «Il Governo ritiene inopportuno e controproducente adottare una intonazione più restrittiva di politica di bilancio in considerazione di diversi fatti» tra cui, spiega il ministro Pier Carlo Padoan nella premessa al Def,«i concreti rischi di deflazione e stagnazione, riconducibili al contesto internazionale, l’insufficiente coordinamento delle politiche fiscali nell’Eurozona» e «gli effetti perversi di manovre eccessivamente restrittive, che potrebbero finire per peggiorare, anziché migliorare, il percorso di aggiustamento del rapporto debito Pil».
Un rapporto che però nel nuovo quadro macro del Def scende più lentamente del previsto (anche perché, come ha detto Padoan, la crescita nominale si è rivelata inferiore alle attese): secondo le nuove stime nel 2016 calerà al 132,4%, come previsto dalla Commissione Ue, e non più al 131,4%; nel 2017 al 130,9% e nel 2018 al 128 per cento. Confermati i target per le privatizzazioni pari allo 0,5% del Pil per i prossimi tre anni. Per quest’anno, dopo il rinvio a medio periodo dell’operazione Ferrovie, Padoan ha ribadito che si stanno valutando diverse opzioni.
Resta il nodo legato al rischio di deviazione rispetto al percorso che porta al raggiungimento dell’obiettivo di medio termine. Il pareggio di bilancio ancora, per la terza volta, slitta di un anno: dal 2018 al 2019. Quanto alla decisione di far salire il deficit programmatico 2017 dall’1,1% all’1,8%, per il Governo si tratta di un livello compatibile con il pieno utilizzo delle clausole di flessibilità nel quadro europeo e con le circostanze eccezionali quali il deterioramento globale della crescita e dell’inflazione. Ed è attorno a questo punto e non più sulla clausola riforme che ruota la partita. Sulla base delle ultime bozze del Def il saldo strutturale di bilancio migliorerebbe dal -1,2% del 2016 all’-1,1% del Pil nel 2017 e al -0,8% nel 2018 fino al-0,2% nel 2019. Il miglioramento tra quest’anno e il prossimo sarebbe dello 0,1% e quindi distante dai parametri Ue. Ma il Governo resta convinto che le nuove stime sono compatibili con i vincoli di Bruxelles. Del resto, secondo Palazzo Chigi e il Mef la situazione italiana è in miglioramento: il Pil cresce, anche se con minore velocità del previsto, il rapporto deficit-Pil continua a scendere così come quello debito-Pil seppure con un andatura abbastanza lenta. E in significativo calo è anche la spesa per interessi sul debito che passa dal 4,2% del Pil nel 2015, al 4% nel 2016, al 3,8% nel 2017 e al 3,6% nel 2018. Dalle nuove stime del Def emerge anche un miglioramento del saldo primario: dall’1,6% del pil del 2015 all’1,7% nel 2016 al 2% nel 2017 al 2,7% nel 2018. L’inflazione è stimata allo 0,2% quest’anno, all’1,3% il prossimo e all’1,6% nel 2018. Migliorano, anche se leggermente, le previsioni sull’andamento del tasso di disoccupazione dato in discesa all’11,4% nel 2016 dall’11,9% del 2015, al 10,8(% nel 2017 e al 10,2% nel 2018.
Il Governo insomma conta di chiudere il cerchio con la Ue. Con la quale alla fine si è trovato il compromesso sul deficit 2016: posizionato al 2,3% a metà strada tra il 2,2% della Nota di aggiornamento dello scorso autunno e il 2,4% inserito nella legge di stabilità 2016. Il nuovo obiettivo sarà centrato con un aggiustamento amministrativo dello 0,1% del Pil (inferiore ai 2 miliardi) utilizzando le maggiori entrate della voluntary disclosure e senza ricorrere a manovrine correttive.
Marco Mobili e Marco Rogari – Il Sole 24 Ore – 9 aprile 2016