Marco Bresolin. Lo yogurt alla fragola con meno fragole. I bastoncini di pesce con meno pesce. La stessa marca di wafer con l’olio di palma anziché il burro. C’è un tipico retrogusto post-sovietico nei prodotti venduti in alcuni Paesi dell’Est. Il marchio e l’etichetta sono uguali a quelli commercializzati nel resto d’Europa, ma gli ingredienti no. Anche se il mercato Ue dovrebbe essere unico, persiste una Cortina di ferro del gusto. Con i cittadini che lamentano di essere trattati come consumatori di serie B da alcune grandi catene dell’alimentare. Un’Europa a due velocità che alimenta (è il caso di dirlo) ulteriori risentimenti verso Bruxelles, proprio in quegli Stati dove il tasso di euroscetticismo è già ai massimi.
Ora la Commissione europea ha deciso di correre ai ripari. Vuole evitare che alcuni suoi cittadini si sentano figli di un palato minore. Ad oggi, infatti, mettere in commercio lo stesso prodotto con caratteristiche diverse in base ai Paesi di destinazione è assolutamente legale. L’importante è che tutti gli ingredienti siano indicati sull’etichetta. Ma ieri l’Ue ha lanciato un «New Deal» per i consumatori, un vasto pacchetto che va dalle class action al doppio standard alimentare. In autunno aveva già emanato delle linee-guida (non vincolanti) sulla questione «food», ora il passo successivo: metterà mano al quadro normativo e aggiornerà la direttiva sulle pratiche commerciali sleali.
Verrà messo nero su bianco che commercializzare in diversi Paesi Ue «prodotti identici ma con una composizione significativamente diversa» diventerà illegale. Certo, i produttori potranno «adattare i loro beni alle preferenze dei consumatori locali» e quindi questi potranno «presentare eccezionalmente caratteristiche diverse». Ma le variazioni non dovranno essere «sostanziali». A maggio partiranno i test europei in 16 diversi Paesi Ue: i risultati saranno presentati a fine anno, poi potrebbero scattare le contromisure. Nel 2019 verranno condotti studi simili su prodotti non alimentari, specialmente detersivi e prodotti per la pulizia.
Da mesi alcuni governi hanno iniziato ad alzare la voce: quelli del quartetto Visegrad, la Bulgaria, la Slovenia e la Croazia hanno presentato a Bruxelles i risultati dei test effettuati su una serie di prodotti. Li hanno comparati con quelli venduti in Belgio, Olanda, Germania e soprattutto Austria. I supermarket alle frontiere austriache sono spesso la meta preferita dai pendolari della spesa cechi, slovacchi, ungheresi e sloveni. Non lo fanno per una questione di prezzo, ma di gusto.
Un documento del Parlamento europeo di novembre indica che le differenze sono racchiuse in tre categorie: minor presenza dell’ingrediente principale, uso di sostanze meno salutari e differenti caratteristiche sensoriali, come il gusto o il colore. Molte delle aziende nel mirino respingono le accuse. Sostengono che la differenziazione è frutto delle «diverse esigenze dei consumatori». Altre sono già corse ai ripari. La Hipp assicura che metterà la stessa quantità di verdura nei suoi cibi per bambini. La Ferrero ha annunciato una modifica alla ricetta per la Nutella venduta in alcuni Paesi, la Bahlsen ha promesso che userà lo stesso livello di burro per i suoi biscotti. Good Bye, Lenin.
La Stampa – 12 aprile 2018