Test negli ospedali: chi cura meglio guadagna di più. I dubbi del sindacato dei dottori: non tutto dipende dal nostro lavoro
NEW YORK – I medici che lavorano negli ospedali di New York sono impegnati in questi giorni in un duro negoziato – condotto dalla divisione sanitaria del grande sindacato dei servizi, il Seiu – per definire un nuovo sistema retributivo basato sui risultati ottenuti anziché sul volume dei servizi prestati. Si ipotizza anche che i pazienti possano dare un «voto» ai medici, influenzando in parte lo stipendio che percepiscono. E a ogni passaggio della trattativa sorge un’obiezione: «Non possiamo essere penalizzati quando un risultato deludente dipende anche dagli infermieri, dal livello di igiene di un reparto o dalla disponibilità di posti-letto». E molti altri critici, esterni alla trattativa, avvertono che tutti i criteri oggettivi di efficienza, in medicina possono essere facilmente aggirati: in buona o cattiva fede.
Una cartella clinica di un iperteso può essere «interpretata», se non alterata, scegliendo come dato di riferimento quello più basso tra i tre controlli giornalieri della pressione. Fino al solito problema di fondo: in teoria una sanità più efficiente aiuta il paziente perché dà risultati migliori a costi più bassi; in pratica il medico poco scrupoloso cercherà di evitare i pazienti con patologie gravi o croniche o quelli più poveri, che hanno maggiormente trascurato la loro salute. Discussioni annose che hanno fin qui ostacolato l’uso di criteri meritocratici anche in altri settori come la scuola, con gli insegnanti che rifiutano di farsi giudicare sui risultati sostenendo che chi lavora negli istituti di una zona povera, multiculturale o socialmente degradata è condannato in partenza rispetto a chi gli allievi li ha in quartieri ricchi e socialmente omogenei.
Ma il confronto avviato a New York dagli 11 ospedali pubblici della città è importante perché anticipa l’attuazione della riforma sanitaria di Barack Obama che tra meno di un anno introdurrà meccanismi di remunerazione degli ospedali basati su precisi «benchmark» di misurazione dei risultati clinici ottenuti. Certo, il sistema americano – basato su strutture sanitarie private e un meccanismo assicurativo misto, con lo Stato che copre chi ha più di 65 anni, i poveri e i veterani – è profondamente diverso da quelli dell’Europa e dell’Italia. È quindi impossibile fare paralleli, viste anche le profonde differenze filosofiche: la salute, che nella nostra visione è un diritto del cittadino, negli Usa è una responsabilità individuale. Ma l’esplosione dei costi della sanità, la tecnologia che moltiplica le possibilità terapeutiche e l’emergenza del deficit pubblico sono fenomeni paralleli sulle due sponde dell’Atlantico.
Gli esperimenti in atto negli Stati Uniti vanno, quindi, seguiti con attenzione perché prima o poi finiranno per ispirare anche da noi interventi di ristrutturazione della spesa. Che in America, vale la pena ricordarlo, è molto più elevata e meno efficiente rispetto alle migliori esperienze europee. Ma proprio per questo gli Usa sono ora costretti a rimboccarsi le maniche.
Del resto l’unica rivoluzione dei costi attuata negli ospedali italiani, il pagamento basato sul cosiddetto «Drg» – il risultato di una cura anziché la mera somma dei costi dei giorni di ricovero, dei test clinici e delle terapie – è una metodologia americana: elaborata trent’anni fa all’università di Yale, è stata applicata dalle assicurazioni private americane, prima di arrivare anche da noi (Drg sta per « diagnosis related group »).
Ora anche il governo federale cerca di introdurre più parametri oggettivi nel definire i rimborsi di cure sempre più costose. Con Obamacare, la riforma del presidente, anche molti cittadini oggi non assicurati avranno la mutua, ma i costi elevati del sistema spingeranno sempre più nella direzione della partecipazione degli assistiti alle spese per la loro salute. Le mutue responsabilizzano i pazienti, promettendo al tempo stesso di dare loro gli strumenti – dati «online», applicazioni, guide al rapporto coi medici – per trasformarli in consumatori informati. Ma il potere contrattuale del malato davanti al medico resta limitato. La trattativa in corso tra medici, sindacati e ospedali si muove attorno a questo dilemma: come proteggere l’interesse del paziente garantendogli tutti gli esami necessari evitando la prescrizione di test inutili che servono solo a incrementare il fatturato dell’azienda ospedale. Un problema che si è posto anche da noi, perfino negli ospedali pubblici. E che nemmeno noi abbiamo ancora risolto.
Massimo Gaggi – 15 gennaio 2013 – Corriere.it