Insieme alla scuola, le attività sanitarie e assistenziali sono l’altro grande capitolo del non profit, e anche per loro le regole prefigurano un elevato tasso di esenzione dall’Imu.
Nel caso di sanità e assistenza il tema tariffario finisce in secondo piano, perché il requisito fondamentale per entrare nel campo delle attività «non commerciali» e di conseguenza lontane da Imu e Tasi è rappresentato da convenzioni, accreditamenti e contratti con lo Stato o gli enti territoriali: se la struttura è accreditata o convenzionata, spiegano le istruzioni diffuse ieri dal ministero, la sua attività diventa «complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico», e quindi Imu e Tasi non si pagano «a prescindere dalla quota di partecipazione di volta in volta richiesta all’utente o alla sua famiglia». In modo speculare, nei campi di attività in cui l’accreditamento o la convenzione sono possibili, la loro assenza fa scattare gli obblighi tributari, anche nel caso (teorico) in cui le tariffe fossero bassisime o assenti. Le stesse istruzioni, del resto, spiegano che le attività sociosanitarie «sono generalmente accreditate o convenzionate»: una parziale eccezione può essere rappresentata dalle case di riposo per anziani autosufficienti, ma il ministero precisa che accanto ad accreditamenti e contratti «occorre prendere in considerazione anche le ipotesi di cofinanziamento della prestazione da parte dell’ente locale». Nei casi residuali di attività i cui ordinamenti non prevedono accreditamenti e convenzioni, invece, andrà esaminato il requisito delle tariffe, che dovranno essere «simboliche» e quindi scollegate dal finanziamento effettivo del servizio: in ogni caso, la tariffa non potrà superare il 50% della media applicata per le stesse attività nell’ambito territoriale locale.
Quando si passa alle attività ricettive, invece, i parametri si fanno più severi e gli automatismi funzionano al contrario, nel senso che impongono il pagamento di Imu e Tasi salvo eccezioni: in particolare, l’esenzione è sempre esclusa per le attività «alberghiere o para-alberghiere» elencate dall’articolo 9 del Dlgs 79/2011, che accanto ad alberghi e motel contempla residenze turistiche, alberghi diffusi, residenze d’epoca, bed and breakfast «organizzati in forma imprenditoriale» beauty farm e così via. Nel caso delle attività sportive, la precondizione è il riconoscimento da parte del Coni, ma l’esenzione arriva solo quando le tariffe non superano la solita soglia del 50% della media locale, con una richiesta che torna anche per le attività culturali.
Il Sole 24 Ore – 2 luglio 2014 (Estratto articolo originale)