Arriva l’assoluzione per l’agricoltura accusata di inquinare le falde acquifere con i nitrati di origine zootecnica. Secondo l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) che ha illustrato un rapporto ai ministri delle Politiche agricole, Maurizio Martina, dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, nonché alle regioni del Nord, «l’impatto interessa non più del 10% delle superfici, tranne in Piemonte dove il tasso sale al 19%». Secondo l’Ispra, dunque, «non può essere attribuita prevalentemente al settore zootecnico la responsabilità del processo di contaminazione da nitrati alle sorgenti». C’era attesa sul dossier dell’Ispra in Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia, le prime regioni zootecniche italiane che assieme al levano circa 3 milioni di capi bovini di cui 1,2 milioni da latte, oltre a 6 milioni di suini e 48 milioni di capi avicoli.
Lo studio rimette in discussione il limite dei 170 chili di azoto per ettaro che si possono distribuire ogni anno nelle zone vulnerabili: un tetto introdotto da Bruxelles addirittura nel 1991 ma a lungo disatteso dall’Italia più volte finita sotto la procedura d’infrazione Ue (l’ultima nel 2013). Le mappe attuali delle zone a rischio ambientale risalgono al 2006 mentre fino al prossimo anno gli allevamenti che ne faranno richiesta potranno usufruire di una deroga, concessa da Bruxelles dopo un lungo braccio di ferro, che consente di arrivare a distribuire fino a 250 chili di azoto nelle aree vulnerabili. «Condividiamo con il ministro Galletti – ha sottolineato Martina – l’obiettivo di chiudere la partita sia sul fronte digestato che su quello effluenti entro il 30 giugno. Lavoreremo insieme per adottare entro quella data, di intesa con la Conferenza Stato-Regioni, un decreto che affronti entrambe le questioni relative al problema nitrati. Il nostro impegno è quello di aprire un tavolo anche a Bruxelles per ridiscutere l’intero impianto sulla normativa comunitaria».
Coldiretti parla di un’operazione-verità. «L’Ispra ha chiarito come il coinvolgimento della fonte zootecnica nelle problematiche ambientali sia del tutto trascurabile o minimo – ha detto il presidente Roberto Moncalvo mentre assume un diverso peso il contributo di altre sorgenti in particolari minerali. Se in Europa i dati ufficiali forniti dalla Commissione confermano la Germania tra i paesi con le concentrazioni massime di nitrati nelle acque a causa dell’allevamento intensivo, nel nostro Paese occorre ricercare fuori dall’agricoltura le cause del deterioramento della qualità delle acque».
La direttiva nitrati è tuttora vista con diffidenza negli allevamenti perché moltiplica gli adempimenti burocratici e, soprattutto, i costi costringendo molti imprenditori ad affittare dei terreni a prezzi elevati per rientrare nei limiti imposti dalla Ue. Ora ci potrebbe essere l’inversione di rotta. «C’è bisogno di una nuova strategia sull’applicazione della direttiva nitrati – sottolinea la Cia – che permetta finalmente di raggiungere i necessari standard ambientali senza porre limiti ingiustificati alla competitivita delle aziende agricole e zootecniche in particolare, che hanno già subito pesanti ripercussioni sul fronte dei costi e della produzione».
L’obiettivo, secondo Confagricoltura, è introdurre già a partire dai nuovi decreti una semplificazione delle procedure, nonché una maggiore flessibilità nei divieti di spandimento nei mesi autunnali e invernali, equiparando il digestato ai concimi chimici. Il Sole 24 Ore
La direttiva Nitrati dell’Unione europea (1991) impone agli stati membri di individuare delle aree a rischio dove è vietato superare il limite di 170 kg di azoto. La misura mira a proteggere la qualità delle acque prevenendo l’inquinamento delle falde
Direttiva nitrati. Coldiretti Veneto: vent’anni per arrivare alla verità
Non si contano più sulle dita di una mano gli anni passati da quando la Direttiva Europea sui nitrati ha imposto regole e divieti agli allevatori del nord d’Italia definendo a tavolino le aree cosiddette vulnerabili delle regioni dell’ Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte e Friuli Venezia Giulia ovvero dove si concentra il modello di allevamento intensivo a livello nazionale. Ebbene a distanza di venti anni, dopo solleciti e proposte di Coldiretti che non poteva più assecondare l’applicazione di un regolamento calato dall’alto con la presunzione che le stalle del bacino del Po’ erano la causa principale dell’inquinamento da azoto nella Pianura Padana, arriva la conferma che il pregiudizio era infondato. Infatti l’impatto di azoto prodotto dagli allevamenti interessa non più del 10% della superficie regionale.
Lo rivela ufficialmente uno studio dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) commentando con certezza che il coinvolgimento della fonte zootecnica nelle problematiche ambientali è del tutto trascurabile o minimo mentre – sottolinea la Coldiretti – assume un diverso peso il contributo di altre sorgenti civili. In questo periodo gli imprenditori, rivendicando pari rigore e disciplina anche per depuratori urbani, hanno reagito sostenendo sforzi economici notevoli per una gestione oculata dello smaltimento dei liquami dotandosi della terra necessaria per rispettare il limite di 170 kg di nitrati per ettari in aree vulnerabili con un accumulo burocratico fatto di comunicazioni, piani di fertilizzazione, per tracciare ogni chilo di deiezione prodotta dai capi quasi fosse dell’uranio radioattivo. La Regione Veneto, dal canto suo, ha ben supportato il comparto al fine di superare l’empasse causata dal provvedimento comunitario – riconosce Coldiretti – i tempi sono maturi per l’avvio di una nuova stagione di rilancio che deve vedere l’amministrazione regionale veneta presente ai tavoli ministeriali schierandosi a fianco degli agricoltori per risolvere il problema della delimitazione delle zone geografiche, rimuovendo le ingiuste accuse e introducendo già a partire dal decreto di revisione degli effluenti alcune semplificazioni, con particolare riguardo ai periodi temporali di spandimento oltre che di valorizzazione del digestato proveniente dal trattamento degli stessi reflui zootecnici. Coldiretti Veneto
31 maggio 2014