Per 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici non sono previsti giorni di congedo per i neonati, valgono solo per i lavoratori privati. L’Anief, l’associazione professionale sindacale in una nota precisa che “è stato scritto a chiare lettere dal dipartimento della Funzione Pubblica, rispondendo il 20 febbraio a un quesito del comune di Reggio nell’Emilia” che ha chiesto chiarimenti in merito all’applicazione dell’articolo 4, comma 24 della legge 92 del 2012 ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, anche in considerazione dell’adozione del decreto attuativo del ministero del Lavoro del 22 dicembre 2012 sulla definizione dei criteri per l’accesso e le modalità di utilizzo degli istituti per i lavoratori del settore privato.
In particolare la Funzione pubblica nella nota di chiarimento «ha spiegato che i padri dipendenti delle pubbliche amministrazioni non hanno diritto al congedo obbligatorio di paternità e ai due giorni di congedo facoltativo, previo accordo con la madre e in sua sostituzione con un’indennità a carico dell’Inps, introdotti nel giugno scorso dal governo Monti per l’assistenza dei primi cinque mesi di vita del bambino, né le madri lavoratrici del pubblico impiego hanno accesso ai cosiddetti voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting».
Nella risposta il dipartimento della Funzione pubblica spiega che «la normativa in questione non è direttamente applicabile ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni” di cui all’articolo 1 del dlgs 165 del 2001, “atteso che, come disposto dall’articolo 1, commi 7 e 8, della citata legge 92 del 2012, tale applicazione è subordinata all’approvazione di apposita normativa su iniziativa del ministro per la Pubblica amministrazione e la semplificazione. Pertanto, per i dipendenti pubblici rimangono validi e applicabili gli ordinari istituti disciplinati nel dlgs 151 del 2001 e nei ccnl di comparto».
Secondo l’Anief, «il risultato di questa interpretazione è che a oggi tutti i dipendenti pubblici italiani non possono usufruire di un diritto concesso ai colleghi del settore privato. Disattendendo quindi la direttiva 2010/18/Ue del Consiglio dell’8 marzo 2010, nella quale non si fa alcun riferimento alla natura del rapporto di lavoro, ma solamente alla necessità di dare attuazione al diritto individuale del congedo parentale, garantendo una base comune sull’equilibrio tra vita e lavoro negli Stati membri e svolgendo un ruolo significativo nell’aiutare i genitori che lavorano in Europa a ottenere una migliore conciliazione».
Per Marcello Pacifico, delegato Confedir e presidente Anief, non ci sono dubbi: «Ci troviamo chiaramente di fronte a una discriminazione dei dipendenti pubblici rispetto a colleghi che operano nel privato. Ciò fa ancora più scalpore se si pensa che quest’anno ricorre il ventennale dall’introduzione della privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico. Con il risultato che, disapplicando quanto previsto da una direttiva Ue del 2010, che supera chiaramente il decreto nazionale 151 del 2001, si mortifica la professionalità di tre milioni e mezzo di dipendenti pubblici, dopo che non viene loro più concesso da tempo alcun rinnovo contrattuale e aumento stipendiale». (ItaliaOggi)
Pa, nessun congedo di paternìità per i dipendenti pubblici
Il decreto del ministero del Lavoro, che dallo scorso 13 febbraio (data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale) specifica le disposizioni applicative degli istituti del congedo di paternità obbligatorio e non frazionabile e dei voucher Inps per vestire parte delle spese per baby sitting, rimane interdetto ai dipendenti pubblici.
La prima disposizione sperimentale consta nell’obbligo per il padre lavoratore dipendente di esentarsi dal lavoro, entro cinque mesi dalla nascita del figlio, per un arco temporale di un giorno, permettendo altresì entro lo stesso periodo l’astensione (facoltativa) per altri due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione rispetto all’intervallo di astensione obbligatoria di diritto a quest’ultima.
La chance prevista dalla legge Fornero sui congedi parentali “paterni”, tutti rigorosamente pagati al 100% della retribuzione, sembra destinata a restare una prerogativa del settore privato. Questo almeno fino a quando il ministero della funzione pubblica non armonizzerà i princìpi della riforma del lavoro, legge n. 92/2012, ed in particolare i commi 24, 25 e 26 dell’articolo 4 prevedenti appunto le due misure pro-genitorialità con carattere sperimentale per il biennio 2013-2015, alla pubblica amministrazione.
A precisare la questione è intervenuto lo stesso dipartimento guidato da Filippo Patroni Griffi, in replica al Comune di Reggio Emilia. Palazzo Vidoni, nella nota n. 8629 di ieri, ha risposto alla richiesta di chiarimenti da parte del Comune inviata qualche giorno dopo l’assunzione del decreto interministeriale Lavoro-Mef. Il ministero della funzione pubblica confuta in maniera troncante: le norme sul congedo di paternità (obbligatorio e facoltativo) non sono «direttamente applicabili» al pubblico impiego, «atteso che tale applicazione è subordinata all’approvazione di apposita normativa su iniziativa del ministro per la pubblica amministrazione e semplificazione».
Si attende pertanto che lo stesso Patroni Griffi, o molto più probabilmente il suo successore, metta mano, sentite le organizzazioni sindacali, sulla esplicitazione degli «ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche», fino ad allora niente di nuovo sul fronte degli statali. Nei loro confronti, infatti, proseguirà l’applicazione delle norme sui congedi previste dal Testo unico sul pubblico impiego (dlgs n. 151/2001) e dai Contratti collettivi del comparto.
La questione dei congedi di paternità entra, dunque, a pieno titolo tra le tematiche oggetto di trattativa sindacale per i prossimi mesi. La “scottante” materia si accosta al delicato dossier inerente il disciplinamento dei contratti a termine nella p.a. sul quale il ministro ha predisposto e inviato un atto di indirizzo all’Aran per instradare un possibile confronto. Gli interventi che hanno coinvolto i congedi parentali risultano misure di imprescindibile importanza, entrambe orientati a promuovere una vera e propria cultura di condivisione dei compiti di cura filiali all’interno della coppia, utile a facilitare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. (Leggi Oggi)
23 febbraio 2013