Lorenza Castagneri. Per anni hanno dedicato la loro vita all’università, non si sono persi una lezione, hanno studiato fin dal primo giorno di corso, fatto tirocini. Un lavoro part-time? Impossibile da conciliare. Per tasse, libri e affitto li hanno sempre aiutati mamma e papà.
E adesso migliaia di giovani medici, laureati di primo livello, potrebbero restare senza lavoro o dover scappare all’estero per avere un futuro in questa professione. «In Italia rischiamo di essere medici a metà. Senza nessuna possibilità di esercitare». Motivo: i contratti di specializzazione non sono sufficienti.
Quest’anno, a fronte di 9 mila domande di studenti, i posti disponibili potrebbero essere soltanto 3500. Poco più di un terzo. Ma senza specializzazione non si può lavorare all’interno del Sistema sanitario nazionale. «Puoi soltanto fare la guardia medica oppure sostituire qualche medico di base quando va in ferie. Due o tre settimane all’anno. E uno come si mantiene? Di solito questa é una soluzione temporanea in attesa di iniziare la specializzazione» spiega Davide Pianori. Fa parte del comitato Aspiranti specializzandi. Con altri coordinamenti, una decina di giorni fa, ha lanciato una petizione online, «Medici senza futuro», indirizzata, tra gli altri, al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin e al capo dello Stato.
In poche ore, sono arrivate oltre 30 mila firme. I ragazzi chiedono più risorse e una miglior programmazione per l’accesso ai corsi di laurea. Programmazione che finora è stata apparentemente sbagliata o comunque poco lungimirante.
Negli ultimi anni, i posti per entrare alle facoltà di Medicina italiane sono aumentati: nel 2007 erano 7.300, nel 2013 10.700. A questo incremento non è, però, corrisposto un adeguato numero di posti ai corsi di specializzazione: cicli di studi post-laurea, della durata di cinque anni, durante i quali chi li frequenta approfondisce una specialità e riceve uno stipendio di circa 1600 euro al mese. Invece di crescere, sono passati dai 5 mila nel 2012 agli ipotetici 3.500 del 2014. Vanno aggiunti, poi, ulteriori mille posti per i corsi di formazione in medicina generale, tre anni che servono per diventare medico di famiglia. In tutto, quindi, sarebbero 4500 posti, sempre pochi rispetto al numero dei candidati.
«Il problema è che le regioni non hanno strumenti sufficienti e aggiornati per calcolare il fabbisogno di medici sul loro territorio. Con queste premesse, è impossibile riuscire a fare una corretta programmazione per gli accessi ai corsi di laurea» ragiona Walter Mazzucco, presidente del Segretariato italiano giovani medici (Sigm). «Bisognerebbe sapere – aggiunge Pianori – quali figure mancano: geriatri, rianimatori, oncologi. Allo stato attuale, gli enti locali non sono in grado di dirlo, mentre lo Stato ha già pagato costi altissimi per la nostra formazione».
Durante l’incontro di lunedì tra Lorenzin e i «medici senza futuro», il ministro della Salute ha garantito nuove risorse per aumentare il numero dei contratti di specializzazione disponibili per quest’anno. Il decreto dovrebbe essere pronto per metà aprile. Mercoledì, altri comitati che rappresentano gli aspiranti specializzandi sono anche scesi in piazza. Domina lo scetticismo. Se le cose non cambieranno, il rischio vero è che nel 2015 il numero dei candidati per un posto sia ancora più alto. «In Francia ci sono 7 mila posti per la laurea di primo livello e altrettanti per la specializzazione – rimarcano i comitati -. Anche qui servirebbe un sistema analogo. Non è difficile arrivarci». I giovani medici pensano all’estero. Per molti di loro, sempre più vicino.
La Stampa – 4 aprile 2014