Non c’è dubbio, e lo dice anche lui: Luca Zaia ha spiazzato tutti. Perché fare 9 dg e non 7, uno per ogni Usl provinciale da lui stesso previste nella sua riforma? «Venezia e Vicenza sono realtà complesse — spiega il presidente —. Il Veneto orientale è staccato dal resto della sanità veneziana, confina con il Friuli e poi è area turistica, mentre il Bassanese ha una propria identità. Inoltre volevamo lanciare un segnale importante alla popolazione, smentendo ogni timore di chiusura dell’ospedale San Bassiano». «La nostra è l’azienda più turistica d’Italia, con 20 milioni di visitatori all’anno — incalza Carlo Bramezza, riconfermato dg dell’Usl 10 di San Donà — e il governatore ha sempre avuto un occhio di riguardo per la prima industria del Veneto». Difficile però dimenticare che da sempre le poltrone della sanità sono terreno di spartizione partitocratica e ridurre la torta significa esacerbare ulteriormente la trattativa.
Stavolta l’avrebbero spuntata il potente vicegovernatore Gianluca Forcolin (Lega), ex sindaco di Musile di Piave, che ha mantenuto l’Usl del proprio territorio, e la bassanese Elena Donazzan, veterana di giunta nonché unico assessore di Forza Italia e grande catalizzatrice di voti.
E poi c’è il caso di Padova. Perché togliere dall’Azienda ospedaliera dopo soli tre anni e con la grana della nuova cittadella della salute ancora in alto mare Claudio Dario, il veterano dei manager (è al quarto mandato, al primo era il più giovane: 45 anni), oltretutto «uomo di Zaia»? E chi gliel’ha fatta fare a Luciano Flor di subentrare, visto che a Trento guadagnava molto di più (190mila euro l’anno più 38mila di premio) ed era appena stato riconfermato dal presidente della Provincia Ugo Rossi, che per difenderlo ha pure dimissionato l’assessore alla Sanità, Donata Borgonovo Re?
«Padova è strategica ma non è solo ospedale e se abbiamo messo Dario all’Usl 16 è per dimostrare che dedichiamo la stessa attenzione al territorio», dice Zaia. «Mi dispiace non occuparmi più dell’Azienda e del progetto del nuovo ospedale, nel quale ho investito molto, in termini intellettuali ed emotivi», ammette Dario. Probabilmente ha scontato il poco feeling con Domenico Mantoan, segretario della Sanità e deus ex machina della riforma. E pure dg uscente dello Iov, al quale ha voluto una sua dirigente all’Usl 4 e in Regione, Patrizia Simionato, l’unica donna della nuova squadra, «fondamentale per puntare sull’umanizzazione delle cure». Quanto a Flor, medico igienista laureato e specializzato a Padova, pare sia stato fortemente voluto dall’Università e poi ha realizzato l’ospedale di San Bonifacio e il nuovo polo chirurgico di Verona.
Ma la conferma che ha sorpreso diversi addetti ai lavori è Giovanni Pavesi: essendo un fedelissimo di Galan si sussurrava che dovesse essere il primo a saltare. Il manager veronese è molto vicino a Comunione e liberazione. Ex di Forza Italia sono anche Adriano Rasi Caldogno, segretario generale in Regione nell’era Galan, che se lo portò pure al ministero dell’Agricoltura, e Francesco Benazzi, del partito azzurro coordinatore a Treviso prima del debutto come dg nel 2008, salvo poi convertirsi alla Lega. Il Carroccio che ha in quota anche Giuseppe Dal Ben, Pietro Girardi, Giorgio Roberti e Antonio Compostella, «uomo» di Marino Finozzi.
In tutto questo mancano due nomine. Il direttore scientifico dello Iov, poiché il ministero della Salute non ha accettato la candidatura dell’oncologo padovano Giuseppe Opocher proposta da Zaia, e il dg dell’Istituto Zooprofilattico, senza guida dal primo ottobre. Il governatore voleva Massimo Castagnaro, ex preside di Veterinaria a Padova, ma Trentino e Friuli puntano sull’attuale facente funzione Stefano Marangon (lo scorso 23 dicembre Zaia ha comunicato al ministro della Salute la rinuncia alla nomina, ndr). Tra i due litiganti rischia di godersela il terzo candidato, il bolognese Ruggero Bernardini.
M.N.M. – Il Corriere del Veneto – 31 dicembre 2015