Non ci sono solo i parlamentari. Anzi. I più grandi privilegiati d’Italia sono quelli che i partiti hanno spedito nelle “municipalizzate”. Tutti con super stipendi e auto blu. E sono più di trentamila
Megastipendi. Auto blu. Parenti assunti. Poltrone salva-trombati. Consulenze inutili. Mogli, amiche, amanti. E conti in rosso. Sembra la politica, ma non lo è. Almeno ufficialmente. Perché c’è un esercito fantasma nell’Italia degli sprechi, che non siede in Parlamento, in Regione o negli enti locali. Ma spende e spande quanto la casta. E’ la costellazione di società partecipate, municipalizzate, ex controllate, holding regionali e agenzie provinciali che mangiano all’ombra del palazzo. Da Formigoni ad Alemanno, da Cota a Lombardo, sindaci e governatori hanno costruito una cassaforte miliardaria, che si muove come un privato, ma a spese del pubblico. Basta un dato per farsi un’idea dei privilegiati nascosti nel bilancio in rosso dell’Italia: più di 30 mila poltrone fra Cda e collegi sindacali. Il triplo di onorevoli, consiglieri regionali e sindaci messi insieme.
Esagerazioni? Macché, il bello è che potrebbero essere di più. Se l’Anci parla di 3.662 partecipate dai Comuni, cui vanno aggiunte 450 Spa solo regionali, per l’Irpa (Istituto di ricerca sulla pubblica amministrazione) oscillano fra 3 e 6 mila: «La zona grigia dipende dalla precarietà delle informazioni fornite dagli enti locali», spiegano. Anche tenendosi bassi, dunque, c’è da avere paura: nel paese dei tagli di Monti c’è una società pubblica ogni 17 mila abitanti e una poltrona ogni 2 mila. Più la politica.
POLTRONE DI FAMIGLIA
Quel che dev’essere capitato, è che Comuni e Regioni abbiano preso troppo alla lettera lo slogan che l’allora ministro Renato Brunetta coniò: «Le partecipate devono assumere con gli stessi criteri degli enti pubblici». E infatti, eccoli i criteri: parenti, amici e compagni di merende. Da Nord a Sud. Come Giorgio Pozzi, ex deputato lombardo del Pdl che, per dirla come il film, visse due volte. Prima si fa due anni al Pirellone senza dimettersi da presidente di Nord Energia, di cui la Regione è primo azionista. Poi la Cassazione lo fa decadere e al suo posto entra Paola Maria Camillo, eletta con 309 preferenze, che valgono un tesoro: circa 800 mila euro pubblici. Perché? Semplice, non solo eredita stipendio e vitalizio del collega, ma chiede al tribunale pure gli arretrati di due anni. Intanto, a Pozzi arriva un secondo incarico compensativo: il cda dell’Arpa, l’agenzia dell’ambiente, rifugio di molti trombati. Dall’ex presidente (fino a poche settimane fa) Enzo Lucchini (Pdl), poi spostato all’Asl di Lecco, fino a Giovanni Bozzetti, assessore in era Moratti poi messo ai vertici di Infrastrutture Lombarde Spa.
Di politici paracadutati se ne trovano a bizzeffe. Stefano Maullu, in Lombardia, si era dimesso da assessore della giunta Formigoni per dissidi interni. E’ rimasto disoccupato la bellezza di due giorni, piazzato poi alla nuova Tangenziale esterna (Tem) con 120 mila euro. La vittoria di Pisapia a Milano aveva, invece, declassato a consigliere semplice l’ex assessore morattiano Andrea Mascaretti, soccorso con un incarico da direttore generale di Milano Metropoli da 140 mila euro. E se Roma è capitale anche della poltronopoli italiana targata Gianni Alemanno, con lo scandalo delle assunzioni facili all’Ama e all’Atac, che tra il 2008 e il 2009 sono valse contratti “anomali” (tra cui quelli alla figlia e al figlio del caposcorta di Alemanno) a decine di parenti, amiche e fidanzate di big locali del centrodestra, tiene bene il passo la Sicilia. Dove il governatore uscente Raffaele Lombardo ha lanciato una campagna di nomine nelle partecipate per condizionare il voto regionale e garantire stipendi da nababbo agli eventuali sconfitti.
Campo di battaglia l’Irfis, istituto di credito della Regione. Direttore generale l’ex ragioniere della Sicilia, Enzo Emanuele, indagato per abuso d’ufficio per la gestione commissariale di Catania. Alla presidenza, Francesco Maiolini, che aveva assunto Saveria Grosso, moglie di Lombardo, a 200 mila euro l’anno. E avanti con Claudio Raciti alla guida di Arsea, ente per i pagamenti in agricoltura. Coincidenza è l’agronomo dei Lombardo, quello che firma le perizie per l’impresa agricola della signora. Per non farsi mancare nulla, poi, ci sono pure le nomine alza-vitalizio, come in Toscana. Marco Susini, livornese, parlamentare per due legislature, vivrebbe già con la pensione di Stato, ma non basta. E così gli hanno affidato la presidenza dell’interporto di Guasticce da 30 mila euro per le spesucce.
L’Espresso – 31 ottobre 2012