«Probabilmente il Covid me lo sono preso sabato pomeriggio, durante l’aperitivo». «Signorina era con qualcuno?»; «Sì, ma tutti sconosciuti, non so i loro nomi». «Ha passato il pomeriggio con perfetti estranei?». «Eh sì». Oppure: «Ma scusi lei è andato a cena dai suoi genitori pur sapendo di essere positivo al tampone?!»; «Sì, ma sono rimasto poco tempo».
Vita da contact tracer. Alla terza ondata della pandemia la paura ha lasciato il posto alla stanchezza, all’insofferenza, le persone colpite dal coronavirus non tollerano più domande, quarantene, tamponi, controlli. E omettono, «dimenticano», raccontano un sacco di bugie. «L’atteggiamento è cambiato rispetto all’inizio dell’emergenza — conferma Luigi Pais Dei Mori, presidente dell’Ordine degli Infermieri di Belluno e due volte alla settimana impegnato nel tracciamento dei contatti dei positivi al tampone —. Prima chi contraeva l’infezione era preoccupato di averla trasmessa e quindi indicava subito le persone vicine, perché fossero controllate al più presto. Adesso invece il pensiero comune è: difficilmente succederà loro qualcosa, non voglio allarmare nè scocciare nessuno. Ma così è difficile risalire alle catene del contagio». E lo sarà ancora di più da oggi, giorno in cui entra in vigore la disposizione firmata dalla dottoressa Francesca Russo, a capo della Direzione Prevenzione regionale, che allunga la quarantena da 10 a 14 giorni e, in caso di soggetto colpito da una variante del virus, impone di risalire ai contatti non solo stretti ma anche occasionali. E incontrati nelle ultime due settimane, non più nelle 48 ore precedenti alla diagnosi.
«Sarà dura — commenta Pais Dei Mori — oggi la gente tende a minimizzare, dice di aver sempre portato la mascherina, addirittura di non avere contatti stretti, ma poi i conti non tornano. Il nostro lavoro rischia di rallentare, passeranno giorni prima della presa in carico di tutti i contagiati e se ne rintracceranno meno. Il contact tracing si basa sulla buona fede delle persone, se tutte rispondono: sono chiuso in casa, faccio smart working e non esco nemmeno per la spesa, rischia di arenarsi. Per non parlare delle dichiarazioni mendaci o insufficienti». Insomma, l’iniziale empatia nel nome del comune obiettivo di sconfiggere «il mostro» si va affievolendo. «Siamo in difficoltà anche con il tracciamento dei bambini — ammette Irene, assistente sanitaria che fa il contact tracing per l’Usl Euganea — i genitori non collaborano. Per esempio abbiamo scoperto che la fonte di una serie di contagi è stata una festa di Carnevale alla trentesima famiglia interpellata, l’unica che ha parlato. L’altro grave problema è che gli infetti spesso non dichiarano di avere sintomi, nell’illusione di scontare una quarantena più breve. Oppure i contatti stretti smentiscono il soggetto che li ha indicati, negano di averlo frequentato. E non pochi rifiutano il tampone — aggiunge Irene — e pensare che prima lo volevano fare tutti. Alla prudenza è subentrata la stanchezza, nessuno ci rivela più la probabile fonte del contagio, tutti assicurano di non fare vita sociale». I focolai sono in effetti scolastici e riferiti ai luoghi di lavoro. L’altra novità è la massiccia presenza di giovani tra i positivi al tampone, poiché le varianti del Covid-19 stanno colpendo soprattutto loro. Secondo l’Istituto superiore di Sanità il 18% dei casi tocca la fascia d’età 0/18 anni.
La luce in fondo al tunnel è la vaccinazione, ma nel primo trimestre dell’anno ai tagli nei rifornimenti di Pfizer Biontech e Moderna si è aggiunta la brutta sorpresa giocata da AstraZeneca, che ha inviato all’Europa solo il 10% delle dosi promesse. E ieri l’ulteriore mazzata: pure Johnson&Johnson, il cui vaccino dovrebbe essere approvato domani dall’Agenzia europea del Farmaco (Ema), ha annunciato problemi di produzione, con relativa difficoltà a garantire alla Ue i 55 milioni di dosi previste da aprile a giugno. L’Italia doveva riceverne 7,3 milioni. A cascata, è ennesima grana per il Veneto, che per recuperare il quart’ultimo posto in Italia per somministrazioni (435.128 dosi inoculate sulle 595.790 ricevute, il 73%), punta a lasciare aperti sette giorni su sette e anche di sera i 58 punti vaccinali. La giornata di ieri era iniziata bene, con l’arrivo di 53.300 dosi Pfizer Biontech. «Stiamo spingendo molto sulla campagna — assicura il governatore Luca Zaia — attiveremo altri punti vaccinali, anche attraverso accordi con industriali, agricoltori e associazioni. Diventerà una chiamata di popolo». Si sta lavorando con Confindustria per immunizzare il personale delle aziende sul posto di lavoro, ricorrendo pure agli ambulatori Inail. «Basta che arrivino i vaccini — chiude Zaia —. Mi chiedo come mai quelli autorizzati dall’americano Fda, massimo ente di certificazione internazionale, per essere utilizzati in Italia debbano avere il vaglio successivo di Ema e Aifa. Perché perdere tanto tempo?».
MNM – Il Corriere del Veneto