Repubblica. Una crescita che in molte zone del Paese segna l’avvio della terza ondata. La trainano le varianti, che ormai sono le forme prevalenti di Covid. In particolare quella inglese provocherebbe già oltre la metà dei casi, in base agli ultimi dati raccolti dalle Regioni e elaborati dall’Istituto superiore di sanità. Se si considerano anche la “brasiliana” e la “sudafricana”, le varianti del coronavirus rappresenterebbero tra il 50 e il 60% dei casi totali. Si sta rispettando dunque la previsione dell’istituto Bruno Kessler di Trento, che aveva previsto questa rapida espansione delle nuove forme del virus. Probabilmente sono responsabili dell’aumento del numero dei nuovi infetti, che in soli sette giorni, da lunedì all’altro ieri, è stato del 32%, dopo oltre un mese di stabilità. E ieri i casi diagnosticati in Italia sono stati 13.114, circa 3.500 in più di lunedì scorso, segno di un incremento che prosegue.
«Le prossime settimane non saranno facili — ha detto ieri il ministro alla Salute Roberto Speranza — Sarebbe bello dire che è tutto finito e che siamo in una fase diversa, ma la più grande responsabilità di chi rappresenta le istituzioni è dire come stanno le cose. Abbiamo una campagna vaccinale da accelerare e un’epidemia molto forte e presente sui territori ».
Le Regioni più in difficoltà, a parte la Val d’Aosta che ha dati assoluti piccolissimi, sono il Friuli Venezia Giulia (+57%), il Piemonte (+47,8%), la Lombardia (+46,9%), la Campania, il Veneto e l’Emilia-Romagna (+42%). A migliorare sono solo Umbria e Provincia di Bolzano, che tre settimane fa erano in crisi e hanno dato vita a zone rosse.
Il ministero della Salute osserva l’andamento dei casi e valuta con i suoi esperti se non sia il caso di proporre al governo una stretta nazionale. Il momento non sarebbe ancora arrivato, si prova ad andare avanti con i presidenti di Regione e i sindaci che creano zone di restrizioni più forti e si attende il prossimo monitoraggio della Cabina di regia, che venerdì prossimo potrebbe mandare in arancione e in rosso un alto numero di Regioni. Ma per come funziona il sistema di monitoraggio, che osserva numeri di due settimane prima per calcolare l’Rt, gli effetti dell’ultima grande crescita dei contagi si vedranno nei dati elaborati il 12 marzo, che produrranno le ordinanze ministeriali dal 15. Cioè un po’ tardi.
Ieri l’Emilia ha deciso di non aspettare. A giorni, forse già domani, Bologna verrà messa in zona rossa, come chiesto dal sindaco Virginio Merola. La città è già in zona arancione rinforzata con la chiusura delle scuole ma i casi continuano a salire e gli ospedali a riempirsi. Intanto nella stessa Regione è stata istituita la zona arancione scura in Romagna (salvo che nell’area di Forlì). Il presidente della Lombardia Attilio Fontana ha preso la stessa misura a Cremona, nella provincia di Como e in altri 50 Comuni più piccoli. Prolungate le chiusure per Brescia.
«Nel nostro Paese ci sono alcune zone dove l’incremento è così forte da far pensare a una terza ondata, non a una ripresa della seconda». A parlare è Carlo La Vecchia, epidemiologo dell’Università di Milano. «L’aumento è stato preceduto da diverse settimane di allentamento delle misure, cioè di zona gialla. Poi c’è la componente delle varianti, che sono più contagiose e spingono quella che si potrebbe chiamare terza ondata». Il professore confronta quello che sta succedendo adesso con ottobre, quando ci fu la ripresa autunnale dell’epidemia. «Allora partivamo con poco carico sugli ospedali e praticamente nessuna misura restrittiva sulla popolazione. Abbiamo invertito così la curva prendendo provvedimenti, come l’obbligo di mascherine e il coprifuoco. Adesso armi nuove di quel tipo non ce ne sono salvo quelle molto drastiche, come il lockdown, e il vaccino. Andrebbe fatta subito un’unica dose a tutti gli anziani, anche con AstraZeneca, per coprire con i due milioni di dosi che abbiamo in frigo la metà di loro». Il nuovo picco potrebbe arrivare «nella seconda metà di marzo».