Marco Rogari. “Spending 2.0”: così è stato ribattezzato a Palazzo Chigi il piano di revisione della spesa al quale sta lavorando Yoram Gutgeld insieme a Roberto Perotti. Che a differenza del programma targato Cottarelli punta più sul “micro” che sul “macro”. Non a caso sono già state setacciate una per una tutte le spese dei ministeri. E non solo quelle di funzionamento. Sotto la lente sono finiti circa 3-3,5 miliardi di potenziali sprechi o di “missioni” da riqualificare.
I dicasteri avranno la possibilità, dopo la pausa estiva, di presentare proposte alternative per le voci di spesa considerate maggiormente strategiche. In ogni caso non si dovrebbe andare sotto i 2,5 miliardi di risparmi (ma solo una parte sarà imputabile a minori spese di funzionamento). Anche perché dalla razionalizzazione delle uscite dei ministeri, dal rafforzamento della centralizzazione degli acquisti della Pa e dalla sanità (agendo su fabbisogni standard e beni e servizi) dovranno arrivare non meno di 6 miliardi dei 10 fissati complessivamente dal Def come obiettivo della spending review per il 2016.
La ricognizione condotta da Gutgeld, facendo leva sui 15 “cantieri” attivati, procede speditamente. Sarebbero già state abbozzate proposte d’intervento per centrare l’obiettivo dei 10 miliardi, revisione delle tax expenditures comprese. Su alcune di queste ipotesi le valutazioni sono ancora in corso anche perché sono legate a scelte politiche delicate. È il caso, ad esempio, della razionalizzazione dei trasferimenti e dei sussidi al trasporto pubblico, che potrebbe anche portare a un aumento delle tariffe. È poi ancora in corso tutto il lavoro di valutazione della ricaduta contabile dei singoli interventi. Non a caso a palazzo Chigi sono in corso già da alcune settimane incontri tra il Commissario per la spesa e i tecnici della Ragioneria generale dello Stato.
Prima della pausa estiva dovrebbe comunque essere messo nero su bianco un piano completo di proposte d’intervento per recuperare i 10 miliardi indicati nel Def, che saranno indispensabili in gran parte per sterilizzare le clausole di salvaguardia da oltre 16 miliardi contenute nelle ultime due leggi di stabilità: il resto arriverà dalla flessibilità concordata con la Ue per effetto della clausola delle riforme. Tra la fine di agosto e il mese di settembre toccherà a Matteo Renzi effettuare le scelte definitive insieme al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.
Tutto insomma starebbe procedendo secondo la tabella di marcia approntata al momento del varo del Def, anche se non mancano i nodi ancora da sciogliere. Primo tra tutti è quello legato alla partita sui fabbisogni e sui costi standard, considerati uno dei pilastri della “spending 2.0”. Sul versante della sanità l’idea è di continuare a muoversi lungo il solco tracciato con il Patto della salute. C’è poi il programma più a vasto raggio che dovrebbe essere adottato per gli enti locali sul quale da tempo si sta concentrando il ministero dell’Economia. Un programma che però potrà decollare soltanto nel momento in cui sarà completata la mappa delle tipologie di spesa sostenute anno per anno dai Comuni. Ma all’inizio di agosto ben il 27% dei sindaci non aveva ancora trasmesso al Mef i dati sui flussi e voci di spesa relativi al 2013, nonostante le sollecitazioni arrivate nei mesi scorsi anche dallo stesso Padoan. E lo stesso ministero è pronto a far scattare a settembre un’operazione trasparenza dalle quale emergeranno i Comuni adempienti e inadempienti.
Un altro nodo è legato alla reale entità dei risparmi realizzabili nel 2016 per effetto della riforma della Pa che il Parlamento dovrebbe approvare in via definitiva prima della pausa estiva. Se anche il sì finale del Senato dovesse arrivare, come sembra, prima della metà di agosto, ci sarà poi da giocare tutta la complessa partita sugli oltre 20 decreti legislativi di attuazione della delega Madia. Una delega su cui Palazzo Chigi fa molto conto per cominciare ad abbattere molti carrozzoni, come quelli delle partecipate.
Quest’ultima operazione nel 2016 dovrebbe consentire di realizzare non meno di 1 miliardi di risparmi. Molto più consistente è il contributo atteso dal rafforzamento dei meccanismi di centralizzazione degli acquisti Pa che già dalle prossime settimane sarà collegato a sole 35 stazioni appaltanti. Quella che attende nel prossimo triennio Luigi Marroni, nuovo ad di Consip, è un’importante sfida: incrementare l’impegno dell’azienda che fino ad oggi ha presidiato 40 miliardi di spesa, quale soggetto primario nella riqualificazione della spesa pubblica. L’idea è di far salire l’asticella vicino a quota 50 miliardi per realizzare almeno un altro paio di miliardi nel 2016. Alcune centinaia di milioni dovrebbero poi arrivare dal piano di razionalizzazione degli immobili pubblici e dalla stretta su invalidità e altri trattamenti di tipo assistenziale. Tra le altri voci monitorate anche gli incentivi alle imprese.
Il Sole 24 Ore – 21 luglio 2015