Il Golfo è più vicino. Un accordo Italia-Emirati sulla certificazione Halal: il marchio di qualità su tutti i prodotti «leciti» secondo le leggi coraniche, dall’allevamento di animali alla cosmetica di lusso. È il frutto del protocollo d’intesa siglato lo scorso martedì ad Expo da Accredia e Esma, rispettivamente ente unico italiano di accreditamento e Autorità degli Emirati Arabi Uniti.
In cosa consiste il patto? Gli organismi Accredia potranno rilasciare certificazioni conformi sia alle norme europee che allo standard emiratino Uae.s. 2055-2, lo schema che armonizza i requisiti di verifica per merci e servizi dichiarati Halal. Si stanno ancora definendo i dettagli, ma l’Esma provvederà prima alla formazione degli ispettori italiani, poi a un controllo periodico sull’attività svolta sotto le sue indicazioni. «Il protocollo d’intesa consentirà di ridurre le barriere tecniche al commercio e di facilitare gli scambi tra Italia ed Emirati Arabi Uniti, con l’obiettivo di sviluppare la cooperazione nel settore delle certificazioni, in particolare dei prodotti Halal, nel rispetto delle regole applicabili nei due Paesi, in linea con le prescrizioni del Wto e della rete internazionale degli enti di accreditamento Ea e Iaf» spiega Giuseppe Rossi, presidente di Accredia.
Il “bollino” si applica su una gamma di prodotti molto più ampia di quanto ci si potrebbe aspettare: «La certificazione Halal riguarda una molteplicità di categorie merceologiche che andranno dalla filiera agroalimentare ai prodotti cosmetici, del settore tessile e della concia – dice Rossi -. Spaziando poi nel settore dei servizi, la certificazione riguarderà anche la somministrazione di cibi per hotel e ristoranti, così come i servizi di trasporto o deposito nella logistica». Gli esempi spuntano ovunque, a cominciare da un terreno classico: l’agroalimentare: «Si pensi proprio ai prodotti alimentari, che non possono contenere tracce di carne di maiale. Stessa cosa avviene nell’industria dolciaria, dove per esempio viene utilizzato l’alcol per la conservazione dell’alimento. Ingrediente, questo, vietato nella religione musulmana» fa notare Rossi.
Sullo sfondo si sta costruendo un asse tra esposizioni universali, dalle ultime settimane di Expo Milano 2015 agli investimenti già scattati per Dubai 2020. Nel presente, l’interscambio ha ripreso a correre dopo i tentennamenti dell’anno scorso. La bilancia del 2014 si era chiusa su un valore di 5,9 miliardi di euro, con un saldo in positivo di 4,7 miliardi (5,3 miliardi di esportazioni e 628 milioni di euro): una battuta d’arresto rispetto ai 6,8 miliardi di euro del 2013, inflitta più che altro dal massiccio calo nelle importazioni (giù del 51,8% dagli 1,3 miliardi di euro del 2013). I primi cinque mesi del 2015 hanno dato segnali di tutt’altro tono, con un doppio segno più su export e import: il primo sale del 16,2%, a 2,55 miliardi di euro dai 2,19 miliardi dei primi mesi del 2014; il secondo aumenta di quasi un quarto (+24,5%), a 300 milioni di euro contro i 241 di un anno fa.
Dove si concentreranno i flussi più appetibili per le aziende? Tra i “prodotti da vendere” segnalati da Ambasciata italiana e Ice spiccano gioielli e oreficeria, capi di abbigliamento, mobili (mercato da 2,7 miliardi di dollari Usa a prezzo di produzione) e servizi di alloggio e ristorazione. Il boom di costruzioni sta facendo lievitare il tasso di disponibilità alberghiera, con un balzo da 620 a 750 hotel e da 84.500 a oltre 114mila stanze solo nel 2015-2017. Il food fa capitolo a sé, se si considera che gli Emirati Arabi Uniti importano il 90% dei prodotti alimentari consumati. Un’occasione ghiotta per la filiera dell’agroalimentare, forte di un brand made in Italy che fa breccia sulla clientela locale e internazionale.
Anche perché aprirsi sulla piazza degli Emirati significa aprirsi all’intero mercato islamico. Come spiega Rossi «diverse aziende italiane hanno già manifestato l’interesse per la certificazione Halal necessaria per interagire con il vasto un pubblico di consumatori come quello di religione musulmana». Il protocollo ha sancito i principi generali. Ora si aspetta la fase operativa, quando i tecnici italiani saranno formati secondo lo schema di certificazione imposto dall’Autorità emiratina. Le aziende interessate dovranno rivolgersi a uno degli organismi accreditati da Accredia, inseriti nel database Esma secondo le informazioni ricevute dall’Italia. Una marcia in più nella competizione europea? «Le nostre aziende hanno un potenziale vantaggio concorrenziale rispetto ai loro competitor internazionali di cui mi auguro sapranno approfittare».
Alberto Magnani Il Sole 24 Ore – 29 ottobre 2015