Attilio Barbieri, da Libero. Bacon, hamburger e salsicce, ma anche pancetta, coppa, salame e perfino prosciutto potrebbero finire all’indice. Nella lista dei prodotti pericolosi, accusati di causare il cancro. A sentenziarlo è l’Organizzazione mondiale della Sanità, organismo che fa capo nientemeno che all’Onu. Per lunedì è atteso l’annuncio: i prodotti confezionati a base di carne rossa dovrebbero finire nella lista delle sostanze cancerogene. A far compagnia a sigarette arsenico, alcol e amianto. Nel mirino anche la carne fresca, che rischia di essere inserita nella «enciclopedia dei cancerogeni» ed etichettata come «lievemente meno pericolosa» rispetto ai lavorati industriali. A rivelarlo in anteprima è il quotidiano britannico Daily Mail che cita una «fonte interna ben posizionata» nell’Oms. L’annuncio atteso per lunedì rientrerebbe negli aggiornamenti periodici delle linee guida che l’Organizzazione trasmette a ricercatori e autorità competenti dei diversi Paesi.
Secondo l’edizione web del Daily Mail, l’Oms potrebbe anche emettere una raccomandazione volta a inserire «avvertimenti sulle etichette dei prodotti interessati». Un po’ come quelle che già compaiono sui pacchetti di sigarette. Il giornale inglese parla di «novità potenzialmente shoccante per le catene di fast food e per l’industria della carne», dimenticando di dire, però, che i Paesi più danneggiati sarebbero Germania e Italia, ai primi posti nella classifica mondiale dell’industria delle carni lavorate.
Per quel che ci riguarda rischierebbero di finire sulla lista nera dell’Oms tutti i salumi, inclusi quelli sottoposti soltanto a salagione, come il prosciutto crudo. In compagnia di salame, coppa, pancetta, mortadella e perfino bresaola. Il risultato finale sarebbe addirittura peggiore di quello ottenuto con le etichette a semaforo introdotte lo scorso anno dalla Gran Bretagna e giudicate inammissibili dall’Unione europea.
In questo caso, a effettuare la riclassificazione dei componenti della dieta alimentare è l’Agenzia per la ricerca sul cancro dell’Oms, che, sempre secondo la fonte citata dal Daily Mail, avrebbe approfondito la questione «in seguito alle preoccupazioni crescenti che la carne fosse all’origine del cancro all’intestino, il secondo tipo di tumore per frequenza nel Regno Unito». Quindi fra le segnalazioni arrivate a Ginevra, tali da indurre l’agenzia dell’Onu ad assumere una decisione così gravida di conseguenze per chi consuma ma anche per chi produce, ci sarebbe anche quella di Londra.
La carne in generale contiene grandi quantità di grasso, sostengono gli inglesi, e c’è il dubbio che il composto che la rende rossa possa danneggiare lo strato interno dell’intestino: questa la motivazione all’origine della sua messa all’indice. Non migliorano la situazione, sempre secondo il Regno Unito, i trattamenti di preparazione e conservazione industriali, dalla salatura all’aggiunta di conservanti chimici, potenzialmente cancerogeni. Le stime del governo inglese indicano che, nella metà dei casi, per evitare di ammalarsi di tumore all’intestino basterebbe seguire uno stile di vita più sano, che prevede un consumo non eccessivo di carne rossa. Tesi finora con confermata da evidenze scientifiche.
Prevedibile la tempesta di polemiche che la decisione dell’organismo ginevrino potrebbe suscitare. Anche se, almeno per l’Italia, non si tratterebbe di una novità. Come non ricordare lo scontro tutto interno a Federalimentare fra i produttori di pasta e quelli di carne, per l’endorsement dell’oncologo Umberto Veronesi a favore della prima e contro la seconda.
La posta in gioco, almeno per l’Italia, è notevole. Sui 180 miliardi annui di valore prodotti dalla filiera agroalimentare tricolore, le carni pesano per 32miliardi, dei quali 22 riconducibili all’industria e 10 all’agricoltura. La parte del leone spetta ai suini, con 10 miliardi, mentre bovini e pollame pesano ciascuno 6 miliardi di euro. Ad essere più colpito, a giudicare da quel che è trapelato finora, sarebbe il comparto delle carni trasformate, a cominciare dai salumi. Poco importa che nella lavorazione dei prosciutti non entri in gioco alcun conservante, ma solo il sale per il crudo e le spezie per il cotto.
Resta da capire se le indiscrezioni amplificate dal giornale britannico troveranno lunedì una conferma nelle comunicazioni dell’Oms. In quel caso, non si faranno certo attendere le prese di posizione degli operatori del settore.
L’Oms fa la guerra alla carne rossa
Carla Massi, Il Messaggero. Processo alla carne rossa, fresca e confezionata. Ora, sul banco degli imputati, sale di nuovo la bistecca che “fa sangue”, l’hamburger rosolato e la braciola alla griglia, Domani l’Organizzazione mondiale della sanità dovrebbe decidere il futuro prossimo venturo di questi alimenti. Si aspetta il verdetto che, stando a delle anticipazioni, potrebbe far scattare un nuovo allarme “virale” alimentare. Nel mondo. O almeno nei Paesi, come il nostro, dove il consumo della carne rossa è abbastanza alto seppur in lenta discesa. Domani, dunque, potremmo sapere se questi alimenti entreranno nella lista dei cibi bollati come cancerogeni. Come lo sono le sigarette. La “sentenza” arriverà in coincidenza della pubblicazione di uno studio sulla rivista scientifica “The Lancet Oncology”. La carne rossa fresca potrebbe essere inserita nella cosiddetta enciclopedia dei cancerogeni ed etichettata come «lievemente pericolosa» rispetto ai lavorati industriali. Che alcune carni come le rosse o quelle particolarmente grasse possano essere nocive per la salute (dal colesterolo alto al cancro del colon) adesso dovremmo avere una classifica divisa alimento per alimento. Un ennesimo allarme che, poi, in tempi non troppo lunghi, andrà a ridimensionarsi come è stato quello anti-uova colpevoli di alzare in modo smisurato il colesterolo, il latte che si digerisce sempre con maggiore difficoltà o la necessità di togliere il glutine per dimagrire?
I FALSI PERICOLI. Tra i risultati delle ricerche, le false paure, gli scandali e le mode il menù è perennemente sotto la lente spostando, spesso, sia i gusti che gli acquisti. «Nel contesto di una dieta equilibrata – commenta Pietro Antonio Migliaccio presidente della Società italiana di scienza dell’alimentazione – il consumo di carne rossa, una o due volte alla settimana, non desta preoccupazione. Sono gli eccessi alimentari affiancati all’eccesso di alcol, fumo e chili di troppo, che possono favorire la crescita di diverse malattie».
È di quest’anno la riabilitazione dell’uovo dopo oltre vent’anni di messa all’indice. Oggi, “forte” di una serie di studi a lungo termine è tornato nel menù quotidiano seppur con alcune ristrettezze. Le nuove linee guida alimentari Usa ci permettono di mangiare fino a tré uova a settimana. «Solo poco più del 20% del colesterolo dipende dalla dieta – è la precisazione del dipartimento di medicina cardiovascolare della Cleveland Clinic che ha lavorato sulle nuove linee guida sulle uova – il resto dai geni. La campagna anti-uova, ci siamo resi conto, ha portato sia gli americani che gli europei a consumare in modo esagerato molti più alimenti carichi di zuccheri e carboidrati».
Uno degli ultimi “attacchi alimentari” si riferisce al latte vaccino. Accusato di far gonfiare la pancia a tutti, anche a chi non è intollerante. «Non è vero che da adulti dovremmo smettere di bere il latte vaccino – commenta Migliaccio -. Si tratta di mode e fissazioni non scientificamente validate. È importante per noi prendere il latte a tutte le età per il suo apporto insostituibile di calcio e vitamina D».
Oggi, a confondere le indicazioni, c’è anche la cosiddetta “disinformazione digitale” che, spesso, riesce a partorire bufale madornali. Da veicolare in tempo reale con un semplice clic. Una che sembra aver fatto presa soprattutto sul pubblico femminile è quella (denunciata dal sito info@merendineitaliane.it) secondo la quale eliminando il glutine dal menù quotidiano da dieta si dimagrisce. Un’informazione non dimostrata da ricerche scientifiche. Sempre più italiani, infatti, eliminano i prodotti contenenti glutine (la proteina del grano) dalla tavola senza essere intolleranti ne allergici. Come è emerso in un incontro promosso dall’università Cattolica in occasione della giornata dedicata al mondo del senza glutine. «Escludere la proteina del grano dalla dieta pur non essendo intolleranti è divenuto uno stile alimentare di moda – spiega Italo De Vitis gastroenterologo del Policlinico Gemelli – si parla di sensibilità al glutine ma l’esistenza di questo disturbo, ben diverso da intolleranza, celiachia o allergia, resta da verificare come pure la sua reale diffusione».
24-25 ottobre 2015