Entro metà ottobre il testo della legge di Stabilità con tutti i dettagli dovrà essere depositato in Parlamento e per quella data anche tutto il menù dei tagli di spesa per il prossimo anno dovrà essere pronto: è normale che il lavoro sia entrato nel vivo. Ieri, per dire, a palazzo Chigi si è presentato il commissario alla spending review Carlo Cottarelli per illustrare a Matteo Renzi il suo lavoro: alla riunione erano presenti, coi rispettivi staff, anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, quelli dei Rapporti col Parlamento Maria Elena Boschi e delle Infrastrutture Maurizio Lupi, più il consigliere economico del premier, il deputato Pd Yoram Gutgeld. La filosofia di base, spiegano fonti di governo, è quella già applicata col decreto Irpef per i risparmi sugli acquisti di beni e servizi di Stato, regioni e enti locali.
Noi vi diamo un obiettivo di risparmio – in questo caso sarà il 3% – e se non lo realizzate interveniamo con tagli lineari. “Visto che il commissario ha fatto un ottimo lavoro, noi speriamo proprio che i ministeri adottino le sue indicazioni”, dicono da palazzo Chigi.
COTTARELLI andrebbe anche più in là: uno dei suoi “consigli” al governo, peraltro ufficialmente formalizzato nel suo recente intervento a Cernobbio, è che dentro la spending review “siano previsti non solo controlli, ma anche sanzioni” per chi sfora i tempi di attuazione: ben di più, insomma, della semplice supplenza del governo. L’obiettivo, come ormai è ufficiale, è risparmiare venti miliardi entro il 2015 e 32 dall’anno dopo e la cosa, oltre ad essere difficilissima, è anche rivelatrice delle intenzioni del governo: il pareggio di bilancio strutturale è rinviato a data da destinarsi e pure la riduzione del deficit non è una priorità. Venti miliardi servono appena infatti –ammesso e non concesso che il Pil non tracolli – a confermare gli 80 euro e il taglio del 10% di Irap (12,5 miliardi), a rispettare gli impegni di spending review già messi a bilancio da Enrico Letta (4,373 miliardi) e a poco altro, a partire dalla copertura delle spese che si finanziano anno per anno come gli ammortizzatori sociali. Non saranno contenti a Bruxelles, probabilmente, ma pure gli italiani dovrebbero preoccuparsi: tagliare venti miliardi in pochi mesi – e senza toccare o quasi le pensioni: “Non siamo matti”, dicono a palazzo Chigi – vuol dire che nessuno è al riparo.
AL MINISTERO dell’Interno, per dire, la struttura per la revisione della spesa ha caldamente consigliato di procedere ad un “coordinamento” tra le varie forze di polizia: tradotto significa che bisognerà chiudere caserme, accorpare funzioni, trasferire personale. Roba che rischia di far prendere fuoco a polizia, carabinieri eccetera ancor più del congelamento degli stipendi (“ci sono le condizioni per sbloccarli”, ha detto ieri sera Angelino Alfano). Stesso discorso, ovviamente, sarà applicato a tutta la Pubblica Amministrazione centrale: dall’accorpamento dei dipartimenti di palazzo Chigi ad una riduzione pesante della rete diplomatica della Farnesina dopo quella all’acqua di rose predisposta da Federica Mogherini in estate. L’intero capitolo “ministeri” comunque, ha conteggiato il Corriere della Sera, non vale più di 7 miliardi (quasi la metà in arrivo dal capitolo spesa sanitaria, già falcidiato negli anni scorsi), ma le intenzioni del governo sono comunque bellicose: oltre alle solite municipalizzate (500 milioni di risparmi possibili nel 2015, circa tre a regime), nel mirino ci sono pure i trasferimenti alle imprese di ogni ordine e grado. Secondo le stime dell’esecutivo, valgono quattro miliardi pronti di tagli fin dall’anno prossimo. I ministri però – fanno sapere dalla presidenza del Consiglio – adesso dovranno mostrare la loro strenua volontà di collaborazione: domani è già in programma una riunione di governo per fare il punto su tutti i risparmi possibili. Ovviamente questa sventagliata di tagli ha effetti pesantemente depressivi su un Pil, peraltro già avviato al segno negativo nel 2014, ma questo non pare preoccupare troppo né Renzi, né Padoan, né Cottarelli: la fiducia che il governo ripone nelle “riforme strutturali”, a partire da quella del lavoro, è commovente, ma decisamente malriposta. Infine c’è il tema delle privatizzazioni. Letta ne aveva già messe a bilancio per 8-10 miliardi quest’anno: ad oggi l’incasso è zero o giù di lì. Il Tesoro promette che anche quella partita si sbloccherà entro l’autunno, ma sulla vendita delle quote Eni e Enel non c’è ancora accordo: Renzi non vuole metterle sul mercato a valori troppo bassi come gli attuali. (Il Fatto quotidiano)
Spending con tagli semilineari. Vertice Renzi-Padoan-Cottarelli: per tagliare 20 miliardi non basta la spesa intermedia
Il tragitto della spending review, a partire dalla spesa di competenza dei singoli ministeri, ma anche l’individuazione degli ulteriori tagli che entreranno nel menù della legge di stabilità. Ricognizione preliminare e a tutto campo, ieri a palazzo Chigi, tra il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan con i rispettivi staff e il commissario alla spending review Carlo Cottarelli.
Vertice che fonti governative definiscono preparatorio, in vista degli incontri che domani riguarderanno direttamente i titolari dei vari dicasteri. L’obiettivo – anticipato dallo stesso Renzi nell’intervista del 3 settembre al Sole 24 Ore – è di conseguire risparmi del 3% per ciascun ministero. Ogni ministro sarà chiamato a valutare le singole spese da tagliare e fare prime proposte, poi misure integrative (anche dal menù Cottarelli), infine la decisione a Renzi e Padoan, secondo un metodo che si annuncia di tipo «semilineare». Ma dai ministri si annunciano già levate di scudi. «Andare a toccare il fondo sanitario con tagli senza reinvestimenti mette in crisi il sistema universalistico nel futuro» ha avvertito ieri il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin.
Per ora siamo alla ricognizione preliminare, poi si tireranno le somme e la relativa cifra verrà inserita nella legge di stabilità di metà ottobre. Si tratta di uno degli addendi della spending review, certamente, da cui si potrebbero recuperare 6-7 miliardi, mantenendo fermo l’impegno, annunciato anch’esso dal premier, di elevare l’asticella dei tagli dai 17 miliardi indicati nel «Def» di aprile a 20 miliardi. Importo onnicomprensivo, poiché di fatto vi dovrebbe rientrare sia l’azione di contenimento selettivo della spesa (riferita sia ai ministeri che agli enti decentrati), sia lo sfoltimento di 2mila società partecipate, sia il nuovo intervento sul versante degli acquisti di beni e servizi intermedi.
Le proposte messe a punto in questi mesi da Cottarelli, che stando alle ultime indiscrezioni dovrebbe assicurare il suo contributo fino alla legge di stabilità (ha chiesto di rientrare al Fmi), costituiscono la base di partenza. La fase ricognitiva preliminare servirà, come del resto in ogni fase preparatoria della legge di stabilità, a individuare la fattibilità politica delle diverse opzioni in campo. Lo stesso Cottarelli ritiene possibile tagliare la spesa per 20 miliardi, e sulla carta gli spazi esistono. Ma poiché i tagli non sono mai indolori, non sarà certo una passeggiata riuscire a garantire il risultato alla fine del percorso parlamentare della legge di stabilità. Cottarelli stesso ha fatto notare come per raggiungere quella cifra non bastino certo interventi solo sulla spesa per gli acquisti di beni e servizi da parte della Pa.
Del resto, stando all’ammontare complessivo di risorse da individuare con la legge di stabilità ( non meno di 23 miliardi), la strada dei tagli alla spesa è di fatto obbligata. Si tratta di scegliere, perché anche i tagli – se non ben calibrati e ispirati a un approccio unicamente lineare – possono avere effetti recessivi, e l ’ approccio dei tagli lineari va decisamente in questa direzione.
Si parte con una ricognizione che riguarda tutte le amministrazioni centrali, dalla stessa presidenza del Consiglio al budget della Difesa e degli Esteri. La legge di stabilità sarà il biglietto da visita con cui il governo dovrà presentarsi a Bruxelles, in vista delle valutazioni che l a nuova Commissione esprimerà in novembre. Quindi massima attenzione alle coperture. Non a caso una delle principali questioni sul tappeto della riunione di ieri a palazzo Chigi, si è incentrata proprio sul nodo dell’esatta individuazione delle risorse su cui costruire l’intera manovra di bilancio. All’incontro hanno preso parte anche il ministro delle Riforme e dei Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, e il consigliere economico di Renzi, Yoram Gutgeld. (Il Sole 24 Ore)
Vertice a palazzo Chigi sulla Spending review Tagli del 3% ai ministeri E Cottarelli prepara le valige via dopo la legge di Stabilità
Un sacrificio del 3% del budget, non lineare: alcuni potranno dare di più, altri di meno. Dipenderà dalle capacità di eliminare gli sprechi e di mettere in atto la fatidica spending review. In vista del vertice, previsto per domani, tra Renzi e la schiera dei ministri di spesa, ieri il titolare dell’Economia Padoan, il ministro delle Riforme, Maria Elena Elena Boschi, e il consigliere economico Yoram Gutgeld hanno messo sul tavolo una serie di proposte tecniche. Ad illustrare le cifre Carlo Cottarelli: il commissario alla spending review, in «frizione» con il governo dopo le sue dichiarazioni contro gli sforamenti della spesa pubblica del 31 luglio scorso. Dopo le ripetute voci di abbandono e di ritorno all’Fmi del tecnico del Tesoro, “Mr.Forbici”, a quanto si apprende, resterà al suo posto solo fino alla legge di Stabilità.
Il percorso, messo a punto dalla riunione di ieri, dovrà essere compiuto entro tre settimane: il primo ottobre sarà presentata la nota di aggiornamento al Def con il nuovo quadro economico e il 15 ottobre la legge di Stabilità. Durante questo periodo le acque saranno agitate. Susanna Camusso (Cgil) annuncia una manifestazione per il lavoro entro i primi 10 giorni di ottobre. E lo stesso Landini – spesso interlocutore di Renzi, che ha appena incontrato – mobiliterà le tute blu della Fiom il 25 ottobre a Roma, proponendo anche 8 ore di sciopero.
La linea di lavoro, che vuole seguire Renzi, è quella di tagli del 3%: poiché la spesa pubblica, al netto degli interessi, è circa di 700 miliardi, si tratta dunque di trovare 20 miliardi. Il compito graverà sui ministri di spesa: saranno richiesti risparmi al ministro della Sanità, Lorenzin, a quello del Lavoro, Poletti, a quello dello Sviluppo, Guidi a quello degli Interni, Alfano (il quale, però, è ottimista: «Ci sono le condizioni per lo sblocco degli stipendi delle forze di Polizia purché i sindacati abbassino i toni che hanno il sapore della minaccia ») La lista degli impegni resta gravosa. Da trovare ci sono 7-10 miliardi per il rinnovo del bonus Irpef da 80 euro per il 2015; 4 miliardi di spese indifferibili (Cig in deroga, 5 per mille, missioni militari ed altro); 4 miliardi di tagli alle spese postati sul 2015 dal governo Letta, pena l’entrata in funzione della clausola di salvaguardia con relativo taglio lineare delle agevolazioni fiscali. Infine 2-3 miliardi dovranno servire per proseguire nella correzione del deficit.
Il quadro della crescita intanto peggiora: dopo le docce fredde delle ultime settimane, per quest’anno è già assodato un Pil leggermente sotto lo zero, cioè in recessione, e soprattutto per il prossimo non si dovrebbe arrivare sopra l’1, nonostante le stime del governo siano ancora all’1,3%. Significa meno entrate fiscali e dunque la necessità di trovare maggiori risorse. Non solo ombre: ci sono almeno un paio di elementi che possono contribuire ad alleggerire la scure del governo e, finché rimarrà in carica, di Cottarelli. Il primo e più importante aspetto confortante è la riduzione dei tassi dopo le mosse della Bce: lo spread è ormai ben sotto quota 150 e anche i tassi a lungo sul Btp decennale oscillano intorno al 2%. La conseguente minor spesa per interessi sarebbe di circa 3 miliardi. L’altra mini-boccata di ossigeno è la rivalutazione del Pil, secondo le nuove norme Eurostat: non sarà molto, ma contribuirà ad una piccola limatura a deficit e debito. Infine la variabile cruciale, ben presente sul tavolo anche ieri: sarà l’obiettivo di deficit-Pil che si porrà per il prossimo anno. Il Def fissava l’1,8% per il 2015, ma già prima dell’estate Renzi aveva annunciato di voler portare il livello al 2,3%: dunque più margini di manovra. Non si andrà comunque oltre il 3%, anche secondo le più recenti stime dei centri di ricerca. L’Italia conta sempre sulla flessibilità in cambio di riforme. Ma anche sul piano europeo l’Italia fa pressing: ieri il sottosegretario Gozi ha proposto di rivedere gli obiettivi di deficit per tutta Eurolandia in ragione di “circostanze eccezionali” come la crisi Ucraina e le svalutazioni dei Bric. (Repubblica)
9 settembre 2014