
Occupati oltre quota 23 milioni. Più giovani ma salgono i contratti a termine. La percentuale tra i 15 e i 24 anni cala al 32,7%
Più occupati ma anche più precari. I numeri saranno anche numeri ma molto dipende da come vengono letti. Dalle tabelle pubblicate ieri dall’Istat vengono fuori due tendenze sui giovani. La prima è che ci sono più ragazzi e ragazze al lavoro, e questo è senza dubbio positivo. La seconda è che sta peggiorando la qualità del lavoro, visto che a trainare la crescita sono soprattutto i contratti a termine.
A dare sostanza alla prima tendenza, quella positiva, ci sono diversi indicatori. Nella fascia d’età tra i 15 e i 24 anni il tasso di disoccupazione, cioè la percentuale di disoccupati sul totale degli attivi, è sceso a novembre al 32,7%. Rispetto al mese precedente il calo è di 1,3 punti percentuali. La situazione è migliorata in confronto al periodo più nero della crisi, il marzo del 2014, quando toccammo il 43,6%. Ma siamo ancora lontani dal periodo pre crisi: all’inizio del 2007 la disoccupazione degli under 24 era poco sopra il 20%. Segnali positivi anche dal tasso d’occupazione, cioè la quota degli occupati sul totale degli attivi. Sempre a novembre, rispetto al mese precedente e nella fascia d’età tra i 15 e i 24 anni, è salito di mezzo punto percentuale. Mentre è sceso di 0,2 punti il tasso di inattività, cioè la percentuale dei giovani che non cercano lavoro. Fin qui la tendenza positiva. Poi c’è quella negativa, che in realtà non riguarda solo i giovani ma tutti i lavoratori.
Per comprenderla dobbiamo alzare la lente di ingrandimento e considerare periodi di tempo più lunghi. Tra settembre e novembre è cresciuto di 85 mila unità il numero dei lavoratori dipendenti di tutte le classi d’età. Ma quel segno più è dovuto a un boom dei lavoratori a termine, cresciuti di 101 mila unità. Che ha più che bilanciato il calo dei lavoratori con un contratto stabile, scesi di 16 mila unità. Se alziamo ancora la lente di ingrandimento e consideriamo quello che è avvenuto nell’ultimo anno le cose migliorano. Ma di poco. Rispetto al novembre 2016 i lavoratori dipendenti sono cresciuti di quasi mezzo milione. Solo 48 mila, però, hanno un contratto a tempo indeterminato. Tutti gli altri sono a termine.
Forse anche per questo, a dicembre, il governo aveva pensato a un intervento per limitare l’utilizzo dei contratti a termine, abbassando da tre a due anni la durata massima e riducendo da cinque a tre il numero dei rinnovi. Alla fine non se ne è fatto nulla. Doveva essere una mossa «di sinistra» per convincere Giuliano Pisapia ad appoggiare il Pd. Ma l’ex sindaco di Milano si è defilato e la mossa di sinistra non serviva più. In caso toccherà al prossimo governo.
Il Corriere della Sera – 10 gennaio 2018