Indietro tutta sul reddito, in scivolata sui consumi. La bassa produzione, l’alta pressione fiscale e l’inflazione superiore alla media europea hanno fatto sì che dal 2007 ad oggi, ogni famiglia italiana abbia perso, in media 3.400 euro in potere d’acquisto. Anche tornando ai ritmi di crescita pre-crisi, per recuperare quanto perso dovremmo aspettare il 2036. Ventitre anni di attesa per tornare quelli che eravamo.
L’analisi è contenuta in un rapporto elaborato dal Cer e dalla Confcommercio dall’esplicito titolo «L’Italia che arretra». Ma dare la colpa solo alla doppia crisi planetaria (quella della finanza
internazionale del 2009 e quella dei debiti sovrani del 2011) o alle malefiche forze esterne non sarebbe corretto, fa notare l’associazione dei negozianti. «Nel declino dell’Italia non vi è nulla di ineluttabile – ha detto il suo presidente Carlo Sangalli-Non siamo vittime di un destino cinico e baro. Scontiamo scelte sbagliate e scelte mancate».
L’elenco delle cose sbagliate è lungo: va dalla riforma del lavoro Fornero – considerata in «stridente contrasto» con le esigenze del mercato – alle prospettive di politica fiscale: quella riguardante l’Iva in particolare modo.
Il quadro in cui ci si muove sottolinea la ricerca – qui è più nero che altrove: durante la crisi il reddito pro-capite italiano ha perso 11 punti rispetto alla Germania, 5 rispetto alla Francia, 4 nei confronti di Giappone e Stati Uniti. Abbiamo rinunciato all’8,6 per cento di potere d’acquisto, per un totale di 86 miliardi di euro di mancanta spesa. I consumi, per riflesso, hanno segnato un «encefalogramma piatto », avvolti in una flessione mai così feroce nei quasi settanta anni di storia economica della Repubblica. Inserire in questo quadro anche l’imminente aumento dell’aliquota Iva dal 21 al 22 per cento vorrebbe dire, secondo Confcommercio, «gettare benzina sul fuoco della recessione». «Sostituire una minore Irpef con una maggiore Iva penalizzerebbe le famiglie più povere con perdite fra i 200 e i 50 euro» stima lo studio.
La prima leva del programma di governo, suggerisce invece il rapporto, deve agire sulla domanda abbassando la pressione fiscale: ci sono «troppe tasse, troppo difficili da pagare». Il «free-tax day», il giorno in cui gli italiani cominceranno a lavorare per se stessi e non più per saldare il fisco, scatterà quest’anno dopo 162 giorni, il 24 per cento in più della media europea (130 giorni). La complessità stessa del prelievo farà sì che un’impresa debba impegnare in media 269 ore di lavoro per pagare le tasse: il doppio della Francia, il 60 per cento in più della Spagna, il 30 per cento in più della Germania. Le piccole aziende spendono 10 miliardi l’anno in adempimenti fiscali, il 50 per cento in più della media Ue. E questo non per colpa della crisi.
Repubblica – 13 giugno 2013