Acquistavano olio d’oliva dalla Spagna e, attraverso un giro di fatturazioni false, lo etichettavano e vendevano come olio extravergine di oliva italiano o addirittura biologico made in Italy. Come se non bastasse, nel caso dell’olio venduto “solo” come italiano, sembra che la miscela fosse integrata anche con oli ricavati da residui di frittura. Questa commercializzazione fraudolenta ha portato la Guardia di Finanza di Andria a indagare su una trentina di persone – a carico di 16 delle quali sono state disposte misure cautelari – e al sequestro di 16 aziende tra la Puglia e la Calabria.
In sostanza sono state smantellate tre distinte associazioni per delinquere che gestivano complessivamente un giro d’affari illecito stimato in 30 milioni di euro. Sotto accusa imprenditori pugliesi che, con la presunta complicità di indagati calabresi, avrebbero trasformato olio di oliva comunitario in “olio 100% italiano” o “biologico”. Ad alcune aziende sarebbe stato affidato il compito di fornire false fatture attestanti fittizi approvvigionamenti di olio extravergine di oliva prodotto in Italia per legittimare ingenti acquisti di olio proveniente, in realtà, dalla Spagna.
La notizia uscita ieri non è una novità, ma un aggiornamento di una vicenda già trattata dalla stampa nel febbraio/marzo del 2013 (identico il presunto reato, i meccanismi, i presunti colpevoli e le quantità di olio oggetto di indagine). È doveroso precisare che le organizzazioni del biologico hanno escluso dal sistema di controllo gli operatori coinvolti nel periodo compreso tra il mese di settembre e dell’anno scorso. Ferma restando la serietà del caso, queste aziende da allora non hanno potuto commercializzare olio con riferimento al metodo biologico.
La stessa AssoBio, l’associazione delle imprese di trasformazione e distribuzione di prodotti biologici, aveva lanciato un’allerta ai suoi associati nel febbraio del 2013, segnalando la presenza sul mercato di 400 tonnellate di olio extravergine d’oliva qualificato come “Made in Italy”, ma di sospetta provenienza estera. Nel comunicato si ricordava che le partite di olio erano state sequestrate in Puglia e Calabria dalla Guardia di finanza su disposizione della Procura della Repubblica di Trani. La nota proseguiva con l’avviso su una partita da 60 tonnellate che era stata poi dissequestrata dagli inquirenti, risultando regolare alle analisi. Nella fase istruttoria si ipotizzavano dubbi sull’origine territoriale (in sostanza, olio biologico spagnolo potrebbe essere stato spacciato per olio biologico italiano) non vi erano invece contestazione sulla natura biologica.
AssoBio riferiva che l’azienda alla quale era stato sequestrato e poi dissequestrato l’olio, si diceva comunque perplessa, dato che il panel ufficiale di assaggio aveva ritenuto la partita avere le caratteristiche di olio italiano, in particolare di una data varietà di olive.
Prima di accettare la partita, l’azienda aveva sottoposto il prodotto ad analisi chimica, senza individuare alcun residuo dei fitofarmaci di uso abituale sull’olivo. Il lotto era stato quindi accettato, ma mantenuto separato in una cisterna sigillata in attesa del certificato di transazione rilasciato dall’organismo di controllo.
Il tutto fa sospettare che le aziende fornitrici non trattassero solo olio di produzione spagnola (biologico o meno), ma anche olio biologico di produzione italiana e quindi la presenza del lotto risultava leggitima. La cosa importante è che le imprese biologiche sono stato prontamente allertate, ricevendo l’indicazione di acquistare olio solo dopo aver ottenuto dall’organismo di controllo dei fornitori la conferma della legittimità di ogni partita.
Dall’epoca dei fatti FederBio, la federazione interprofessionale del settore, in collaborazione con Accredia, l’ente unico di accreditamento, ha avviato il progetto per la tracciabilità informatica delle transazioni che riguarda anche la filiera dell’olio d’oliva e sul quale è stata chiesta anche la collaborazione da parte dell’Ispettorato repressione frodi e del Ministero politiche agricole.
In attesa degli ulteriori sviluppi giudiziari, è importante ricordare che dal novembre 2013 non sono state effettuate vendite con la qualifica di olio biologico della partita sospetta. Le aziende che avevano acquistato olio dagli operatori indagati hanno infatti provveduto a declassificarlo e a venderlo senza riferimenti al metodo di produzione biologico, e quindi risultano parte lesa e non complici.
Sara Rossi – Il fatto alimentare – 26 luglio 2014