La Commissione europea ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia UE in quanto, ha spiegato, nel nostro Paese “diversi diritti fondamentali contenuti nella direttiva sull’orario di lavoro, come il limite di 48 ore stabilito per l’orario lavorativo settimanale medio e il diritto a periodi minimi giornalieri di riposo di 11 ore consecutive, non si applicano ai dirigenti operanti nel servizio sanitario nazionale”. Dopo aver inviato all’Italia lo scorso maggio un “parere motivato” in cui si chiedeva di adottare le misure necessarie per assicurare che la legislazione nazionale ottemperasse alla direttiva europea sull’orario di lavoro dei medici operanti nel servizio sanitario pubblico, oggi la Commissione europea ha deciso di deferire il nostro Paese alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
La direttiva europea, infatti, non consente agli Stati membri di escludere “i dirigenti o le altre persone aventi potere di decisione autonomo” dal godimento di tali diritti. Tuttavia, i medici attivi nel servizio sanitario pubblico italiano sono formalmente classificati quali “dirigenti”, senza necessariamente godere delle prerogative o dell’autonomia dirigenziali durante il loro orario di lavoro. Inoltre, secondo Bruxelles, “la normative italiana contiene altre disposizioni e regole che escludono i lavoratori del servizio sanitario nazionale dal diritto di riposo giornaliero e settimanale minimo”.
Attualmente, i medici del servizio sanitario pubblico non hanno diritto a un limite orario settimanale e a periodi minimi di riposo giornaliero.
Secondo l’attuale normativa italiana diversi diritti tutelati dalla direttiva in questione, come il limite di 48 ore per l’orario lavorativo settimanale medio e i periodi minimi giornalieri di riposo di 11 ore consecutive, non si applicano ai “dirigenti” operanti nel servizio sanitario nazionale. E, sempre secondo le norme italiane, i medici sono formalmente classificati quali “dirigenti”, senza necessariamente godere delle prerogative o dell’autonomia dirigenziali durante il loro orario di lavoro.
La direttiva, invece, sottolinea la Commissione in una nota, non consente agli Stati membri di escludere “i dirigenti o le altre persone aventi potere di decisione autonomo” dal godimento di tali diritti. Ma secondo Bruxelles i medici che lavorano per il Ssn, non godeno necessariamente di prerogative dirigenziali o diautonomia rispetto al proprio orario di lavoro.
Dopo aver ricevuto diverse denunce, la Commissione ha inviato nel maggio 2013 all’Italia un “parere motivato” in cui le chiedeva di adottare le misure necessarie per assicurare che la legislazione nazionale ottemperasse alla direttiva. Ma, evidentemente, questo non è bastato, e Bruxelles ha deciso di passare alla fase successiva della procedura d’infrazione, ricorrendo alla Corte di Giustizia.
La direttiva sull’orario di lavoro prevede che, per motivi di salute e sicurezza, si lavori in media un massimo di 48 ore alla settimana, compresi gli straordinari. I lavoratori hanno inoltre diritto a fruire di un minimo di 11 ore ininterrotte di riposo al giorno e di un ulteriore riposo settimanale ininterrotto di 24 ore. Vi è una certa flessibilità che consente di posporre i periodi minimi di riposo per motivi giustificati, ma soltanto a condizione che il lavoratore possa recuperare subito dopo le ore di riposo di cui non ha fruito.
I medici operanti in qualità di lavoratori subordinati ricadono nel campo di applicazione della Direttiva, nota ancora la Commissione, precisando che solo per i medici in formazione la limitazione dell’orario di lavoro è stata introdotta gradualmente, sulla base di regole speciali, nel periodo 2000-2009. Dal 1° agosto 2009, puntualizza ancora l’Esecutivo Ue, il limite di 48 ore si applica anche ai dottori in formazione, mentre i periodi minimi di riposo si applicavano anche a questi medici in tutti gli Stati membri dal primo agosto 2004. Ma l’Italia ha ignorato queste norme, o ora rischia una condanna della Corte europea di Giustizia.
Quotidiano sanità e Sole 24 Ore – 20 febbraio 2014