Dicono che quando gli uomini della Guardia di Finanza lo hanno svegliato alle 4 e mezza del mattino per notificargli l’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari, lui sia rimasto a dir poco di sasso. Certo, c’erano state delle avvisaglie quando l’anno scorso, dalla prima indagine sul Consorzio Venezia Nuova, emerse l’ipotesi investigativa di un «finanziamento illecito» nei suoi confronti.
Ma non pensava certo all’arresto, il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni. Quando però i suoi avvocati Daniele Grasso e Mariagrazia Romeo (quest’ultima sua storica collega di studio e braccio destro) gli hanno portato le carte, forse quegli occhi li ha strabuzzati due volte: «Chiedono l’applicazione della misura cautelare personale della custodia in carcere», era scritto in calce alla richiesta dei pm Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini.
Insomma, i pm volevano Orsoni — che avrebbe ricevuto un finanziamento illecito di 560 mila euro — in galera, ritenendo grave il pericolo sia di reiterazione del reato che di inquinamento probatorio. «Di regola, per il pericolo di reiterazione, massima misura possibile è quella degli arresti domiciliari», scrive però il gip Alberto Scaramuzza. Stessa posizione anche per l’eurodeputata Lia Sartori (225 mila euro), mentre per il consigliere regionale Giampietro Marchese (circa mezzo milione), il pericolo di inquinamento probatorio è stato ritenuto «forte e intenso». «I dichiaranti lo hanno indicato come soggetto interno alla Regione in grado di informare i correi di notizie riservate dell’indagine», dice il magistrato.
Orsoni non è stato il solo a «scampare» il carcere. C’è Marco Mario Milanese, l’ex braccio destro di Giulio Tremonti, accusato di corruzione, per il quale però sono stati gli stessi pm a chiedere il 13 maggio la revoca della richiesta di misura cautelare («alla luce di ulteriore informativa di pg da esaminare»). Ma soprattutto c’è un gruppetto di 5 indagati per i quali il gip ha ritenuto di non applicare non solo il carcere chiesto dai pm, ma addirittura nessun’altra misura: si tratta degli imprenditori Dante Boscolo Contadin, Andrea Boscolo Cucco e Osvaldo Mazzola, del professionista svizzero Cristiano Cortella e dell’ex segretario regionale della Sanità della Regione Veneto, Giancarlo Ruscitti. La posizione di quest’ultimo è però oggetto di un lungo paragrafo dell’ordinanza. L’accusa per lui è quella di concorso in evasione fiscale: secondo i pm Ruscitti nel novembre del 2010 (pochi mesi dopo le sue dimissioni, date quando divenne presidente della Regione Luca Zaia) e nel novembre del 2011 firmò due finti contratti a progetto con il Coveco, l’ala delle coop rosse nel Consorzio, per 200 mila euro più Iva. Un incarico che, secondo le dichiarazioni di molti coindagati, di fatto non c’entrava nulla con l’attività del Coveco, ma che riguardava invece il faraonico progetto dell’ospedale di Padova, che tanto interessava a Giovanni Mazzacurati. Tanto che il precedente, il 28 settembre 2010, era stata una cena alle Calandre di Rubano con Mazzacurati, il consigliere del Consorzio Pio Savioli, il commercialista Francesco Giordano e l’allora sindaco Flavio Zanonato. «Il mio amico di Padova era scatenato, in senso positivo», dice Savioli a un amico, riferendosi a Zanonato. Qualche tempo dopo Ruscitti chiama Mazzacurati e gli riferisce di una telefonata con un «mister X», omissato dalla Procura. «L’andrò a trovare dopo l’Immacolata (…) voglio capire su Padova…», dice Ruscitti e Mazzacurati replica: «Però è importante ‘sta cosa, molto importante». il 25 novembre 2010 Ruscitti si incontra con Savioli e con il boss del Coveco Franco Morbiolo: «L’incarico riguarda l’ospedale di Padova e ovviamente gli interlocutori di Padova non siamo io e lui… guardando verso l’alto». «Ho fatto un po’ di giri con alcuni politici – diceva Ruscitti a Mazzacurati il 19 gennaio 2011 al telefono – ma prima di cominciare a coinvolgere il presidente del consiglio regionale ed altro volevo confrontarmi con lei».
Il Corriere del Veneto – 6 giugno 2014